Paradossalmente, spesso, l’origine di un qualcosa all’interno del percorso storico e le sue narrazioni scaturisce da una fine, fine che può combaciare con la morte.
L’inizio attraverso la fine è una delle caratteristiche del mito. Nel 753 prima della nascita di Cristo un fratello uccideva il suo gemello. Con una morte iniziava il mito della città che sarebbe stata battezzata come eterna: Romolo uccideva Remo e fondava la sua città, Roma.
Anche il più svogliato degli studenti, solitamente, non riesce a non mostrare lo stupore per il fascino della storia di Anchise che fonda Alba Longa, città che avrà come ultimo re Numitore, spodestato dal malvagio fratello Amulio (e già qui, prima dell’origine, l’elemento della lotta tra consanguinei) che risparmierà in un primo momento la nipote Rea Silvia; Rea Silvia che, coi “lunghi e voluminosi capelli che le coprivano il seno, mentre una lieve brezza marina le sollevava la lunga veste scoprendole le gambe eburnee” (cit. Antonio Spinosa, La grande storia di Roma), fece cadere in tentazione il dio Marte e per le conseguenze di questo incontro, non poté più sfuggire all’ira di Amulio una volta dati alla luce quei due gemelli che sarebbero stati allattati dalla celeberrima lupa. Superfluo dire che la storia di Roma a quasi 3000 anni di distanza sia molto meno ammaliante. A contribuire, dopo le recenti parentopoli ATAC di Alemanno, Mafia Capitale e la vicenda Marino, una campagna elettorale in cui piombano ratti e Razzi (Antonio) e persino Masha e Orso, cui però almeno riconosco il merito di avermi fatto intenerire. Al contrario del tira e molla costruito da e attorno a Rea Giorgia Meloni in stato interessante, che mi ha dato solo noia. E anche se pure a Giorgia nasceranno due gemelli, potessi incontrarla, la guarderei e glielo direi alla romana: ridacce Marte e Rea Silvia e la lupa.
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