Immaginate di vivere in un paese di 1700 abitanti, tornare a casa dopo una notte trascorsa altrove e trovare, al ritorno, solo morti. Abitanti, animali, persino insetti. È accaduto sul serio. In Camerun.
La notte del 21 agosto 1986, dal lago Nyos, situato in una zona vulcanica al confine con la Nigeria, si sprigiona una quantità impressionante di anidride carbonica. Una nuvola di gas percorre come un’onda silenziosa la valle, attraversando i villaggi e uccidendo ogni essere vivente. I pochi sopravvissuti diranno di aver sentito un puzzo ammorbante di uova marce. Ai primi soccorritori si presentò uno scenario surreale. Cadaveri ovunque ma vegetazione e villaggi intatti.
Ciò che accadde in quella valle fu per anni oggetto di dispute tra i più famosi geologi del pianeta. Oggi sembra appurato che il lago fu interessato da un’esplosione limnica. Il Nyos era saturo di gas e qualcosa, forse una frana, aveva fatto saltare l’equilibrio tra gli elementi, causando una delle più grandi sciagure naturali del XX secolo.
Un giornalista olandese, Frank Westerman, ha ripercorso tutta la vicenda nel suo libro “L’enigma del lago rosso” (Iperborea) avendo cura di inquadrare il contesto di una regione in cui cristiani e islamici cercavano di redimere le tribù animiste. Di questo libro mi ha particolarmente colpito la leggenda che ne costituisce il prologo. Racconta dell’esodo del popolo kom verso ovest e del loro incontro con i bamessi che li accolsero. E racconta di ciò che accadde quando i kom, estremamente fertili, si trasformarono in una minaccia per i bamessi. Stavano diventando troppi.
Il re dei bamessi propose allora un accordo al capo dei kom. Prevedeva che entrambe le tribù costruissero un edificio in cui far entrare tutti i rispettivi uomini e appiccare il fuoco. Ma solo i kom rispettarono i patti. La capanna dei bamessi, in realtà, era dotata di un’uscita segreta. A morire carbonizzati furono soitanto i kom.
Il capo dei kom, furibondo, meditò vendetta. Rivelò che si sarebbe impiaccato e che nessuno avrebbe dovuto seppellire il suo cadavere. Un giorno, disse al suo popolo, sarebbe apparso un pitone che li avrebbe guidati verso la terra promessa. Si impiccò al ramo di un albero e i suoi fluidi formarono una pozza che poi divenne stagno e infine lago. I vermi originati dalla sua decomposizione vi caddero dentro e divennero pesci. Il capo dei bamessi, entusiasta, ordinò una giornata di pesca collettiva. Fu allora che “il lago si alzò dal suo letto, si vaporizzò in nebbia e sparì in una voragine della terra trascinando con sé tutti i pescatori bamessi”.
Espletata la vendetta, il pitone apparve e guidò i kom verso una terra vicina, “una manciata di verdi valli punteggiate di laghi blu”. Non sempre le leggende sono prive di fondamento.
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