Siamo stati tutti quei due ragazzi con la vita in fuga. Insieme a loro abbiamo affidato i nostri sogni alla strada, al sacco a pelo, ai jeans e a una camicia a quadri. Abbiamo incastrato le nostre speranze dentro i loro zaini I nostri ideali adolescenziali si sono sovrapposti a quelli di Jack Kerouac e dell’amico Neal Cassady e abbiamo scoperto, scorrendo le pagine di quel libro, che combaciavano perfettamente. Nessuna sbavatura. Quei due giovani liberi e senza regole in giro per gli Stati Uniti eravamo noi. Il loro rifiuto della realtà, perché stretta e opprimente, era anche nostro. Il viaggio, il nomadismo e l’assenza erano diventate le nostre armi che permettevano di accogliere la vita nel suo fluire libero, senza schemi e indirizzi
“Cos’è quella sensazione che si prova quando ci si allontana in macchina dalle persone e le si vede recedere nella pianura fino a diventare macchioline e disperdersi? – è il mondo troppo grande che ci sovrasta, è l’addio.”
Jack Kerouac, con On the Road, ha regalato a intere generazioni l’illusione che diventare vagabondi, l’avvicendarsi di spostamenti e andirivieni da una città all’altra, per inseguire il sogno di una partenza senza destinazione e senza voltarsi indietro, potesse trasformarsi in realtà.
Intere generazioni hanno disperatamente amato quell’uomo e la sua inquietudine raccontata, la sua condanna nei confronti dello stile di vita borghese americano, l’opposizione al capitalismo da contrastare con la ricerca della libertà.
L’ho amato disperatamente anch’io fino alla lettura casuale di un episodio della sua biografia, quando seppi con un po’ di dispiacere che durante un viaggio in Italia si rifiutò di vedere le bellezze di Napoli, preferendo restare in albergo fino al giorno del suo rientro in America. Poco prima dell’imbarco chiese al suo accompagnatore:
– Parlami un po’ di questi luoghi che ora saluto. E’ bella l’Italia? –
E lì ci avevo visto uno sterile rigurgito di romanticismo, capace di appagarsi della propria incertezza, che aveva fatto un po’ scolorire i miei sogni riposti dentro il suo zaino. Sbiadire però, non cancellare.
“Ebbi una fitta al cuore, come tutte le volte che vedevo una ragazza che amavo andare nella direzione opposta alla mia in questo mondo troppo grande.”
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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