Ve le dovreste immaginare 275 persone in tenuta antisommossa che irrompono dentro il sonno di un centinaio di uomini e donne che bivaccavano all’interno della palestra di una scuola. Dovreste avere in mente il sudore che questa operazione si porta dietro, le urla, i rumori sordi, la rabbia repressa alla ricerca di un nemico che non c’è ma che viene immolato nell’altare della propaganda, quasi a voler giustificare tutto il frastuono e tutto il movimento muscolare di un governo appena insediato che voleva, esclusivamente, provare a raccontare una storia di nuova repressione. Ed ecco che, come gli incubi terribili, come un racconto del terrore, come una montagna che velocemente frana, si muovono gli anfibi, i caschi e l’odore della vendetta. Eccoli i manganelli, gli arresti compiacenti, i ferimenti, l’attacco ingiustificato e ingiustificabile in una notte dove la democrazia è stata selvaggiamente ferita. Era il 21 luglio 2001, a Genova. Scuola Diaz. Tutto avvenne in una notte. Costruirono prove false, arrestarono persone innocenti, ci fu un’altra mattanza nella caserma di Bolzaneto, gente dello Stato che sputò sull’onore, sulla bandiera, sull’amore per la patria. Lo fecero per mesi, anche quando sfilarono davanti ai giudici. Lo fecero rispondendo al telefonino con la musica di “giovinezza” e “faccetta nera”. Uomini dello Stato che calpestarono i diritti di cittadini che stavano a Genova per manifestare pacificamente, per gridare il loro giustificato dissenso ai signori del G8. Immagini che fecero il giro del mondo, che lacerarono gli animi, che fecero vergognare chi, invece, in questo Stato ci ha creduto e ci crede. La Polizia è la garanzia seria per la difesa e per l’ordine pubblico dello Stato. E’ quella che ha pagato in termini di vittime nella lotta contro la criminalità organizzata, contro la mafia. E’ quella che piange le vittime innocenti barbaramente trucidate negli attentati di Via Capaci e di Via d’Amelio. Quella sera, il 21 luglio 2001, nella caserma Diaz c’era un’altra polizia. E non ci fece, purtroppo, una grande figura.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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