Com’è bello leggere i vecchi giornali! Per il solo gusto di farlo ma anche per emettere la propria personale sentenza, molti anni dopo, sulle ragioni e sui torti della Storia, su chi avesse capito davvero come stavano le cose e su chi invece negava e accusava altri di avere le allucinazioni.
Dovrò parlare di due giornalisti che non sono più tra noi: Vittorio Zucconi e Giulietto Chiesa.
21 luglio del 1980, sono in corso le Olimpiadi a Mosca. Sono le Olimpiadi rimaste indimenticabili per il boicottaggio degli Stati Uniti contro la Russia comunista, clamoroso segno di protesta per l’invasione sovietica dell’Afghanistan.
Quella mattina appare nella Piazza Rossa di Mosca, mescolato ai giornalisti e ai turisti, un torinese di 32 anni, Enzo Francone. In Italia è già conosciuto come esponente dell’associazione Fuori! e per essere uno spericolato attivista della lotta per i diritti degli omosessuali.
Francone cerca di incatenarsi ad una transenna e di esporre un manifesto di protesta: poche parole di testo per chiedere l’abolizione dell’articolo 121 del codice penale sovietico, famigerato divieto di stampo staliniano che prevede l’arresto degli omosessuali e la loro deportazione nei gulag.
Francone, in particolare, chiede il rilascio di due cittadini russi accusati di aver svolto propaganda per i diritti dei gay e, per questa ragione, sono democraticamente finiti ai lavori forzati.
Ma la manifestazione solitaria finisce rapidamente, perché il servizio d’ordine dei poliziotti moscoviti interviene in pochi secondi, libera dalle catene Francone per un effimero momento di libertà subito sospeso dal click manette ai polsi e dall’arrivo di un furgone del Kgb, sul quale il manifestante italiano viene caricato.
Vittorio Zucconi è il corrispondente da Mosca del Corriere della Sera ed è testimone oculare dei fatti. Scrive un pezzo pubblicato in prima pagina, con grande evidenza, così intitolato:
Un gay italiano protesta a Mosca: la polizia malmena giornalisti e fotografi
Zucconi scrive una cronaca molto asciutta, nella quale racconta dei precedenti di Francone – che l’anno prima aveva cercato di portare la stessa protesta in Iran, di fronte all’ayatollah – e le fasi dell’arresto, materialmente compiuto da due agenti in borghese camuffati da turisti. Poi scrive nomi e cognomi dei giornalisti americani e francesi cui i gendarmi russi strappano via macchine fotografiche e telecamere, aggiungendo anche calci e pugni affinché la lezione restasse loro bene in zucca.
Il pezzo si chiude con un’osservazione del giornalista, il quale sostiene che si tratti solo di un piccolo incidente nel contesto di un’Olimpiade “che procede benissimo”.
Lo stesso giorno scrive dell’episodio, sulla prima de L’Unità, Giulietto Chiesa. Sbaglia il nome del protagonista della protesta storpiandolo in “Sebastiano Franconi” e lascia chiaramente intendere che il gesto dell’omosessuale sia stato organizzato assieme alla stampa italiana. La sintesi di Chiesa è che “la società dei mass media impone, esige la creazione di notizie dal nulla: il clamore deve sovrastare altro clamore”.
Insomma, la protesta di Francone per i diritti degli omosessuali era una notizia “dal nulla”.
Il quotidiano comunista denuncia la linea del resto della stampa italiana, cui imputa un’azione congiunta per delegittimare il sistema sovietico inventando ingiustizie e privazioni di libertà inesistenti.
Non lo lascia intendere, lo scrive proprio. Così, il giorno dopo i fatti della Piazza Rossa, su L’Unità esce un pezzo non firmato intitolato La maglia rosa resta al Corriere – la gara della balordaggine in cui l’anonimo estensore elenca tutti i giornalisti, partendo proprio da Zucconi e proseguendo con Mario Cervi e Jas Gawronski, che si sarebbero distinti nella quotidiana gara per denigrare cultura, informazione e sistema politico sovietico.
Era il 1980. Poi la Storia ha detto la sua.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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