Sarebbe bello, ma non è credibile.
Non in questo momento.
Ma sarebbe bello che quello che è successo nel 2014, per la nostra storia antica—con i giganti di Monti de Prama—succedesse anche per la nostra lingua.
Nel 2014 un numero impressionante di persone ha partecipato al movimento di liberazione della nostra storia dall’ingombrante eredità lasciataci da Giovanni Lilliu.
Un numero impressionante di persone ha letto e—cosa molto più importante—condiviso una serie di articoli critici che mettono in discussione la ricostruzione ufficiale—lilliuiana, insomma—del nostro passato.
Esiste ormai un rifiuto diffuso della visione della Sardegna proposta dall’archeologia ufficiale: “Effetto di quella sorte fu la condanna della ventosa terra arcaica, posta fra mare e cielo, a una pittoresca immobilità; quasi a far da mostra, o da sedimento, ad un mondo ancestrale e chiuso, durante lo svolgersi di mondi e di umanità più recenti e in moto; a diventare l’immagine didattica della preistoria nella storia.” (Pensieri sulla Sardegna:165-166, in http://www.sardegnacultura.it/documenti/7_26_20060401174110.pdf)
I giganti di Monti de Prama sono lì a raccontarci che questa visione della nostra terra, che ci hanno propinato da quando avevamo l’età della ragione, è falsa.
Adesso anche i media main stream dicono che la nostra storia va riscritta.
Ieri, l’articolo sulla Nuova Sardegna si apriva così: “Duemilaottocento anni di silenzio, poi la luce, 40 anni fa, alla quale sono però seguiti quattro decenni di buio. Le polemiche che si levano in questi giorni attorno ai giganti di Monti ‘e Prama sembrano voler restituire gli arretrati—in termini di clamore—alle statue emerse dal Sinis.”
La Sardegna si sta liberando dall’ombra breve, ma ingombrantissima, di Giovanni Lilliu.
Quello che è successo in questi mesi non è niente di meno di questo.
E adesso la Sardegna deve liberarsi della pesante eredità lasciata da un altro “mostro sacro”: Santu Max.
Max Leopold Wagner, a cui va riconosciuto il merito di avere, per primo, definito il sardo “una lingua”.
E basta.
Per il resto ha fatto un mare di danni.
Ha ripreso supinamente la suddivisione del sardo, effettuata dallo Spano—un erudito, non un linguista—in modo arbitrario, in “logudorese” e “campidanese”.
E ha dichiarato—sempre seguendo lo Spano—il “campidanese” come inferiore: «Il Sardo dei monti è un tipo del tutto diverso dal suo fratello della pianura. Mentre questo è di statura piccola, colorito pallido, carattere servile e tradisce chiaramente l’impronta spagnola, il Sardo delle montagne è alto, il sangue gli si gonfia e ribolle nelle vene. È attaccato alla sua vita libera e indomita a contatto con la natura selvaggia. Egli disprezza il Sardo del Meridione, il “Maureddu”, come nel Nuorese vengono chiamati gli abitanti della pianura. È fuori di dubbio che in queste montagne l’antica razza sarda si sia conservata molto più pura che nella pianura, continuamente sommersa dai nuovi invasori. Anche la lingua è la più bella e la più pura; è un dialetto armonioso e virile, con bei resti latini antichi ed una sintassi arcaica, quello che sopravvive in questi monti con sfumature varianti da un villaggio all’altro».
Wagner non ha nemmeno avuto il merito di essere originale.
Anche lui come i suoi seguaci si è limitato a riprodurre i pregiudizi esistenti, appoggiandosi all’autorità dei suoi predecessori.
I problemi che la nostra lingua ancora deve affrontare—problemi gravissimi—sono ancora quelli creati da Santu Max.
Fondamentalmente uno: l’assenza di uno standard.
L’assenza di uno standard del sardo impedisce, fra l’altro, la produzione del materiale didattico necessario all’introduzione della lingua nei programmi scolastici.
E lo standard manca perché una fazione si appella alla wagneriana divisione in due del sardo.
Mentre l’altra fazione si appella alla wagneriana inferiorità del sardo meridionale, per escluderlo.
Il passo avanti compiuto nel 2006 con la LSC—varietà di mesania, ricordiamolo—è stato successivamente azzerato dalla coppia Corraine-Corongiu, che hanno abusivamente trasformato la LSC in LSU, privilegiando le forme settentrionali e escludendo sistematicamente quelle meridionali.
Questo all’interno di un tentativo di standardizzare perfino il lessico, cosa esplicitamente vietata dagli accordi presi dalla commissione che ha approvato la LSC nel 2006.
E così hanno rafforzato il rifiuto di un possibile standard da parte dei sardi meridionali: la maggioranza dei sardi.
Tutto questo è stato possibile, ovviamente, perché l’accademia sarda—come nel caso dell’archeologia—ignora sistematicamente tutti i lavori che si discostano da Wagner.
Ricordiamolo: il testo principale del Wagner è “Historische Lautlehre des Sardischen. Halle 1941.”
Wagner è rimasto estraneo a tutti gli sviluppi della linguistica, partiti da De Saussure, nel 1916, dalla fondazione della linguistica strutturalista, prima, e di quella generativista, a cominciare dagli anni Sessanta.
All’interno di questi quadri teorici moderni, sono apparsi diversi studi sul sardo che non devono niente a Wagner.
Studi effettuati quasi esclusivamente presso università straniere.
L’ultimo, in ordine di tempo, il mio “Le identità linguistiche dei sardi”, Condaghes, 2013, scritto in collaborazione con il dipartimento di linguistica computazionale dell’università di Groninga.
Ma le università italiane di Sardegna considerano Wagner non un punto di partenza—cosa legittima—ma il punto di arrivo della linguistica.
Come se il mondo si fosse fermato al 1941.
Esattamente quello che è successo con i lavori di Lilliu: non punto di partenza, ma meta finale da non mettere in discussione, mai.
È ora di prendere atto di quello che i miei lavori—e quelli di Michel Contini ancora prima: nel 1987—hanno messo in chiaro: la fondamentale unitarietà del sardo.
E da questa fondamentale unitarietà partire per sviluppare uno standard limitato all’ortografia.
Una grafia e pronuncia libera, con regole rese esplicite per passare dalla grafia alla pronuncia locale.
Le mie proposte in proposito esistono già: proposte che tengono conto dell’esistenza della LSC.
Qualsiasi altra standardizzazione sarebbe non solo superflua, ma semplicemente dannosa, visto che costringerebbe a dividere i dialetti del sardo in buoni e cattivi, giusti e sbagliati, come faceva, appunto, Wagner e come fa Corraine.
È ora di sperare che anche nella linguistica si superi la barriera costituita dall’ignoranza militante dell’accademia italiana di Sardegna.
Speriamo bene.
E leggetevi il mio libro.
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