Il 20 novembre del 1983 la televisione americana Abc mandava in onda per la prima volta “The day after”, un film che è stato la rappresentazione dell’incubo più angoscioso di quegli anni: la guerra nucleare, lo scontro finale tra le due superpotenze l’un contro l’altra armate, la fine del mondo nei pochi giorni di quella inutile prova di forza. Quella trasmissione venne vista da cento milioni di americani, proprio perché interpretava una paura comune e la curiosità di veder definito, anche solo attraverso la finzione cinematografica, quel mostruoso “giorno dopo”. Il fungo atomico che dominava la locandina ne era l’emblema. 1984, ero un ragazzino e facevo le scuole medie. Erano passati pochi mesi da quella proiezione e la eco di quel film aveva investito il mondo intero. Gli insegnanti ci parlarono di quel pericolo perché le cronache del tempo annunciavano l’installazione di missili Pershing e Cruise anche in Italia, mentre l’Unione sovietica si preparava a piantare i suoi a pochi metri dalle nostre frontiere, in terra slava. Vagamente, come sagome in una nebbia mattutina, ricordo i discorsi degli insegnanti: chi diceva che su quell’equilibrio armato si giocava la pace, chi faceva notare come avere i missili in Italia ci avrebbe esposto molto di più ad un attacco diretto da parte dell’orso russo. Sembrava ci stessero dicendo che non ci restava molto da vivere e a me sembrava incomprensibile. E poi noi, in Gallura, non potevamo proprio avere scampo, con quei sommergibili nucleari a pochi chilometri da casa, a La Maddalena. Continuavo a pensarci anche dopo la scuola, anche mentre guardavo i cartoni animati. La classe si impegnò – ci si impegnò sul serio, avevamo ansia di sapere – in una ricerca poi impressa in un cartellone da appendere al muro, il modo più semplice per schematizzare quel che avevamo imparato: la cortina di ferro, il mondo diviso in uno scacchiere, le sfere di influenza, la Nato, il Patto di Varsavia, i missili intercontinentali che da un qualunque punto degli Stati Uniti potevano raggiungere la Russia e viceversa, l’enigmatico arrivo di Cernienko al vertice del Cremlino dopo la fine di Brezhnev, lo scudo spaziale di Reagan. L’avvento di Gorbachov era lontano e la perestrojka ancora non esisteva, né si poteva immaginare.
Oggi di anni ne ho 44. Il nostro terrore quotidiano sono i kamikaze imbottiti di esplosivo in mezzo alle folle delle metropoli. Eppure quello di The Day after era un terrore peggiore. Non lasciava speranza perché ci avrebbe coinvolto tutti, indistintamente, dalla periferia più dimenticata ai luoghi più rappresentativi del pianeta, riducendolo ad un deserto in fiamme per una pura disputa ideologica. Non è successo nulla. Ma sarà bene non dimenticarcelo, quel Day after mai conosciuto.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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