Dice, e perché sogno? Non è la 131? Certo, poi l’hanno fatta davvero, quella strada. Ma questa data indica il giorno in cui l’ingegnere Giovanni Antonio Carbonazzi approdò nella nostra isola con un mandato tecnico del re di Piemonte e Sardegna che lui trasformò in qualcosa di ben più importante di una strada: il progetto di una regione davvero unita nei suoi interessi. E parliamo di una terra che pur molto lontana da Torino era comunque quasi la metà dell’intero regno. Gli ordini di Carlo Felice (o di chi per lui, in quel periodo delegava molto ai ministri) a Carbonazzi erano quelli di progettare una rete viaria nella “nuova” terra acquisita dai Savoia ormai da un secolo buono. Le situazione era quindi questa: un funzionario tecnico della burocrazia sabauda, intelligente ma comunque un burocrate e non un genio politico, con una generica busta di disposizioni da parte di un re tutt’altro che inetto ma anche opportunista, scaltro, dotato di una visione angusta del mondo e del suo mandato e gonfio di disprezzo a volte feroce verso la periferia del regno e insieme verso la sua capitale. Ebbene, su questi presupposti è nata l’opera pubblica che forse più di ogni altra – lungo i tempi e in proporzione a ciascun tempo – ha contribuito allo sviluppo culturale ed economico della nostra terra. Come mai? Forse perché l’oggettività tecnica del sistema di pensiero dell’ingegnere Carbonazzi aveva formato la filosofia di base dell’opera, la quale non poteva che essere un bilanciato rapporto tra strutture portuali ed economie di zona destinato a unire la Sardegna. E’ un principio basilare che non richiede grandi trasporti ideologici: l’unica risposta all’ordine del re che non voleva economia assistita (soprattutto se dalle sue casse) e divisioni feudali spagnoleggianti in quel pezzo di regno con il quale di lì a ventina d’anni il suo successore Carlo Alberto avrebbe siglato la Fusione Perfetta. E’ il principio che ora manca e che secondo molti e inascoltati osservatori porterà l’intera isola a quel declino che ora colpisce particolarmente alcune sue zone. Prima delle altre Sassari, dove la crisi dell’aeroporto di Alghero e l’abbandono di Ryanair inaugura in questi giorni un grave processo di regressione le cui conseguenze non sono ancora del tutto calcolabili. Questo mentre la classe politica regionale ripete in maniera ossessiva la formula magica della compagnia venuta da fuori che fa volare a basso prezzo ma in realtà con i soldi pubblici. Lo dice per cercare di stemperare la diffusa simpatia verso questa compagnia (che certo non agiva per beneficenza, non ci volevano i politici regionali a scoprirlo) e la conseguente irritazione per il suo abbandono. Ma i sardi sanno bene che una classe politica davvero desiderosa di quella unità territoriale che Carbonazzi ha contribuito a costruire, non avrebbe mai consentito lo smantellamento di una parte importante del nostro sistema di trasporti senza avere un’alternativa pronta. Ed ecco quindi che questo pezzo di Sardegna chiamato Sassari si avvia al declino nella totale incoscienza di ciò che gli sta accadendo, più attento alla piste ciclabili che creano problemi di posteggi auto ai commercianti che allo smantellamento dei collegamenti aerei, problema delegato alla città di Alghero, forse perché più vicina all’aeroporto del Nord Ovest dell’isola. Con cittadini più incazzati per le limitazioni di traffico automobilistico nel centro storico che per il continuo espandersi di una mostruosamente sproporzionata zona commerciale e industriale extraurbana dove la grande distribuzione e la dislocazione anche di ogni piccola attività artigianale ha svuotato di vita ed economia prima il centro storico e ormai quasi tutta la città. Il clima generale in Sardegna, sul piano letterario, è tipo quello della “Quercia caduta” di Pascoli: “Ognuno loda, ognuno taglia. A sera ognuno col suo grave fascio va”. Sul piano storico ricorda la spartizione dell’Impero Ottomano dopo la prima guerra mondiale. A Cagliari certi residui di economia e di cultura, a Olbia le quote di trasporto aereo e così via. E poi toccherà anche alle zone dell’interno già colpite dalla desertificazione, che saranno ulteriormente colpite dalla concentrazione di fondi nell’idrovora della Città Metropolitana di Cagliari. Insomma, quella larga strada erede della Carlo Felice sulla quale viaggiava nell’Ottocento lo sviluppo della Sardegna, ora unirà il capoluogo a un deserto ostile che avanzando finirà per inghiottire anche la città da cui la strada parte.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design