Voi credete di essere dei corpi. Voi credete che la sedia su cui siete seduti, il bicchiere da cui state bevendo, la montagna che copre ai vostri occhi il sole che tramonta, siano tutte “cose”, “oggetti”.
Vero?
Sbagliato. Sono, siete, siamo delle semplici densità di campo. Diverse l’una dall’altra.
Il 20 marzo di cento anni fa, Albert Einstein, presentava al mondo la sua Teoria della relatività generale. Dopo quella “speciale” presentata nel 1905, il grande fisico estendeva le sue riflessioni alla gravitazione, e quindi a tutto l’universo conosciuto (“quanto” al mondo subatomico, andrebbe fatto un discorso a parte).
In pratica il Novecento si apre con una rivoluzione che manda quasi in pensione la fisica classica, quella delle palle da biliardo e delle mele che cadono.
L’intuizione di Einstein sbriciola la nostra immagine del mondo, ma smonta anche i concetti che stanno alla base di questa immagine. Con la Relatività cambiano significato i termini massa, spazio e tempo.
Si, il tempo, proprio lui, che ancora è la prima misura della vita insieme allo spazio, risultò improvvisamente fuori squadra. L’unica cosa su cui si può fare affidamento, perché resta costante, è la velocità della luce. Ed è proprio questo il problema. Se voi siete in autostrada e andate a 100 km/h, una macchina che vi superasse a 105 km/h ci metterebbe un po’, perché la differenza tra le due velocità è bassa. Se però sulla carreggiata opposta arriva una macchina a 50 km/h, avrete l’impressione che sta passando un bolide, perché la vostra velocità e quella della terza macchina, si sommano. Ecco, nel caso della luce non si somma nulla. La luce mantiene la sua velocità anche quando non dovrebbe; anche quando si muove tra galassie che si stanno avvicinando o allontanando tra loro a velocità folli. La luce non rispetta le leggi della fisica classica. È come un bug, che finisce per far saltare il sistema. Questa osservazione portò Einstein a ribaltare il problema e a immaginare che siano invece gli strumenti di misura (orologi e metri) e i sistemi di riferimento a cambiare il loro funzionamento se sottoposti ad alte velocità. In sostanza è come se le leggi profonde dell’universo, continuassero ad essere valide, laddove gli strumenti di misura e i fenomeni da misurare, tendono invece a curvarsi, a modificarsi insieme allo spazio-tempo che li contiene. E anche l’osservatore non ne esce bene. È come se l’operazione classica dello scienziato che osserva il mondo dall’esterno, e gli applica sopra i suoi strumenti, venisse ribaltata e rivolta verso lo stesso osservatore e i suoi strumenti. Un’osservazione di secondo livello afferra l’osservazione classica del mondo e la infila nel pentolone delle cose da studiare e di cui tenere conto nell’atto di descrivere la realtà, che viene percepita e deformata dall’osservatore e dai suoi strumenti.
Sparisce anche, con Einstein, la distinzione di fondo tra materia ed energia. Anche questa è una roba allucinante. Il mondo, quello che per noi stava nello spazio e invecchiava col tempo, si deforma e si curva in base allo stato del suo movimento e alle densità di campo con cui entra in relazione. La densità di campo spazza via le vecchie nozioni di massa e di energia. Io, voi, la sedia su cui siamo seduti, non siamo più definibili come dei banali corpi, ma come campi a diversa densità.
Anche una cosa come la distanza, la distanza tra due corpi, che ci era sempre sembrata una cosa chiara, indubitabile, una cosa che è lì e non ci sogneremmo mai di mettere in discussione, diventa invece relativa al sistema che si è scelto come riferimento, come contesto per l’osservazione.
Tutto, dopo Einstein, è come se avesse gettato la maschera, come se avesse cambiato indirizzo. Il mondo semplice dei nostri sensi e del nostro intuito, quello che incastrava così bene con la geometria euclidea e la fisica di Newton, si rivela ora come una cosa deformata dalla sua stessa esistenza. Non esiste più uno spazio assoluto che faccia da contenitore ai fenomeni, né un tempo assoluto in cui il presente sia il centro tra un passato e un futuro ugualmente misurabili in ore, in anni, in millenni.
Remo Bodei, uno dei più grandi studiosi contemporanei di Filosofia (per chi non lo conoscesse, è sardo), nel suo libro “La Filosofia del Novecento”, in una bella immagine dedicata alla rivoluzione di Einstein, evoca i quadri di Dalì, quelli con gli orologi molli.
Credo sia una bellissima immagine per raccontare il tipo di smarrimento che prende quando ci si affaccia sul significato di quella rivoluzione.
Una rivoluzione talmente dirompente che la maggior parte degli uomini, compreso naturalmente il sottoscritto, ancora non l’ha capita.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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