E c’era questo prete, don Cannabazzu, diciamo così, che perché era anziano alla fine lo avevano fatto vice parroco, tanto per dire che aveva un grado, ma era tanto ubriacone che l’arcivescovo Mazzotti di incarichi veri non gliene dava neppure se erano vice incarichi. Abitava in una stanza con cesso e sgabuzzino per la perpetua all’ultimo piano di una quelle case vecchie vicino alla sua chiesa. C’erano le scale strette. Pensa che negli anni Cinquanta quand’è morto la bara non ci passava e i becchini la dovevano girare e strizzare a ogni pianerottolo e sbatteva sui muri e dalla strada sentivi tum tum e tunfete! E passa mio zio Gavino, sente il casino e chiede al primo che vede. -E cos’è chisthu aburotu? -La cascia di don Cannabazzu no vi passa i’ lu purthari. -Cazzu, morthu don Cannabazzu è? Abà abascia lu vinu. Non so se davvero crollò il prezzo del vino. Ma ai suoi funerali ridevano tutti perché anche se a don Cannabazzu in fondo gli volevano bene lo accompagnarono a Calamasciu ricordando, più che lui, il famoso scherzo del 2 novembre del ’43. E ridevano tanto che il celebrante, tra un requiescat e l’altro, si rivolse ai fedeli -Aiò, parò. Abà bastha chi m’è ischappendi la risa puru a me. Allora, il 2 novembre del 1943 don Cannabazzu, in cattedrale nientemeno, a momenti ci lasciò la pelle. Un infarto o roba così. “Attacco di cuore”, fu la generica diagnosi di un medico, tra gli organizzatori dello scherzo, che gli prestò le prime cure e lo trasportò a casa sua dove si recò ogni giorno a visitarlo lasciando istruzioni per le medicine alla perpetua che era tonta come il culo e si metteva a piangere ogni volta che doveva somministrare le gocce -Nosthra Signora, e si abà chisthu mi mori? E lui, con un filo di voce, dal capezzale le faceva coraggio. -Andadinni, pizzona di l’isthrea. Andadinni e torra cu una tazzitta. E questo colpo perché? Uno dice che magari ne aveva ragione. Quel ’43 anche a Sassari era stato piuttosto laborioso per la Chiesa. C’erano i bombardamenti. Cagliari l’avevano massacrata e Sassari era piena di sfollati che venivano dalla capitale, distribuiti in numerose case ospitali in una organizzazione gestita in buona misura dalle parrocchie. I sassaresi rivelarono in quell’occasione il loro grande cuore dimostrando quanto fossero e ancora siano banali luoghi comuni le dicerie su queste rivalità tra Sassari e Cagliari. Aprirono le loro case ai senza tetto cagliaritani limitandosi a chiedere loro ogni mattina appena si levavano dal letto -Ma ora che vi hanno bombardati, si nota molto a Cagliari la differenza rispetto a prima? E quando quelli a denti stretti dicevano di sì, che si notava, i sassaresi tacevano scuotendo il capo comprensivi ma increduli. Poi ci fu la questione del voto alla Madonnina perché non facessero lo stesso scherzo anche a Sassari e in effetti i danni si limitarono a uno sgancio sulla stazione ferroviaria con pochi morti e pochi danni. Insomma, comunque i preti avevano il loro bel daffare . A parte don Cannabazzu che l’ 8 settembre, quando gli comunicarono le novità, sollevò gli occhi acquosi (diciamo acqua…), si solleticò il grande naso rosso solcato da vene e venuzze e chiese -Armistizio? E parchì, in gherra erami? In questo suo piccolo mondo isolato e lontano nel quale viveva felice senza fare del male a nessuno (“Il problema è che non fai neppure del bene a nessuno”, lo rimproverava monsignor Mazzotti), don Cannabazzu compiva però un peccato grave: si beveva i soldi delle “messe da morto” senza celebrarle. Succedeva cioè che quando qualche imprudente gli consegnava una busta con una somma per una messa in suffragio di qualche defunto, don Cannabazzu correva subito dal vindiolu, si cuoceva che la fezza e si dimenticava di dire la messa. Ora il fatto è che a Sassari c’era la leggenda che i preti che prendevano i soldi senza celebrare le relative messe erano condannati da morti a tornare in terra a celebrarle per un pubblico di de cuius pari loro. E il festoso evento si celebrava usualmente la notte tra il 1 e il 2 novembre a San Nicola. Non ci credeva un cazzo di nessuno, naturalmente, e la leggenda si tirava fuori la notte dei morti per fare cagare allegramente i bambini che non ci credevano neppure loro ma quando in cattedrale la sera si chiudevano i portoni loro andavano lì a bussare per fare le prove di coraggio. Insomma, siccome in quel 1943 Sassari tra guerra e fame non aveva altri cazzi a cui dedicarsi, un gruppo di benpensanti decise di fare questo scherzo a don Cannabazzu. Dopo la mezzanotte del giorno dei Santi, una donna (per rendere la cosa più credibile) riuscì a svegliare la perpetua prendendo a calci la porta dell’appartamentino, perché di svegliare lui non se ne parlava neppure. Alla fine in due riuscirono a fargli riprendere i sensi e gli dissero che l’arcivescovo lo aspettava in cattedrale. -Monsignori… a me? -Emmu, a vosthè. -A dinotti? -Emmu, a dinotti -E pa fa cosa? La donna gli spiegò che c’era da rinnovare il voto per i bombardamenti, una complessa e improvvisa cerimonia per la quale non occorreva soltanto tutto il capitolo turritano ma ogni prete e frate disponibile. Bestemmiando, don Cannabazzu si levò e accompagnato dalla donna che lo sorreggeva arrivò al Duomo. Chiaramente qualcuno all’interno era complice, altrimenti com’è che a quell’ora il portone laterale era socchiuso e un paio di lampade erano accese creando un lucore soffuso che ci vedevi e non ci vedevi? Insomma, don Cannabazzu si addentrò tra i banchi dove sedevano pochi fedeli immobili mentre un oscuro celebrante officiava in lontananza con parole misteriose vagamente latineggianti. A un certo punto uno con il viso coperto da una maschera bianca si alzò e lo fronteggiò -Pentiti, prete peccatore, per le messe che ci hai rubato! Si avvicinò a un altro dei fedeli seduti sui banchi e gli strappò di dosso un cappellaccio che ricopriva capo e volto, rivelando il ghigno di un teschio. Chissà dove cazzo l’avevano trovato e quanto ci avevano messo a costruire il manichino. Don Cannabazzu sospirò -Nosthru Signori Gesù Christhu, agiudeddimi! E crollò al suolo. Si salvò. E per farlo riprendere bene e senza conseguenze gli rivelarono che era tutto uno scherzo. Quando guarì si presentò subito dal vindiolo di fiducia. -E già lu soggu chi chissa notti v’eri puru tu. Ti pardhuneggiu. Parò abà escimi a bì e non mi dumandà dinà. L’uomo obbedì.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.020 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design