Il corpo si muove all’interno di uno spazio che non esiste. C’è stato un tempo in cui era il principale bersaglio delle repressione penale. Il corpo usato come spettacolo, come rappresentazione scenica della punizione. Poi, dopo i supplizi, la loro lentezza, dopo aver utilizzato frammenti di carne e averli esposti al pubblico eccitato e pago e dopo essere passati per una morte veloce, senza nessuna sofferenza fisica, (come, per esempio la ghigliottina) si è virato verso nuove frontiere per produrre meccanismi diversi, un “fondo suppliziante, un sottofondo completamente dominato, ma avvolto, in maniera sempre più ampia, da una penalità dell’incorporeo” .(Michel Foucault, Sorvegliare e punire).
Il gioco sottile del carcere in fondo è legato a questo: non è più il corpo a pagare, ma l’anima e “all’espiazione”, sottolinea ancora Foucault, “ che castra il corpo, deve succedere un castigo che agisca in profondità sul cuore, il pensiero, la volontà, la disponibilità”. Il 2 maggio, a Buoncammino, nel corridoio che è stato teatro dei detenuti di alta sicurezza, nel reparto destro, si proverà a sentire il rumore di corpi che ormai sono divenuti immateriali. Ma sono esistiti. Pensare un convengo su Michalel Foucault e pensarlo in carcere è un buon punto di partenza. Pensarlo in un luogo che è stato carcere è anche un’occasione per capire i passaggi forti di corpi che hanno comunque vissuto e subìto una sofferenza fisica. Un convegno per chiedersi se sarà possibile parlare di riscatto dei “guardati senza sguardo” oppure provare a navigare nell’universo delle donne per riuscire a disegnare un percorso del loro corpo avvolto tra le sbarre. Questa istituzione totale (come ben la definiva Erving Goffman) che tenta di trasformarsi in comunità educante e prova a liberare il corpo e l’anima, prova a dare un senso diverso al supplizio virtuale, tenta anche di ragionare sull’importanza del carcere e sulla possibilità di passare ad un nuovo modo di pensare e di vedere le cose: eliminare l’afflittività ed eliminare, così come chiede Luigi Manconi nel libro appena uscita “abolire il carcere”, la tortura. Il 23 novembre del 2013 chiudeva la casa circondariale di Cagliari e si portava dietro tutti quei rumori di sottofondo, quelle stratificazioni di vite spezzate e incomplete. Ripartire a parlare di carcere, di pene e della possibilità di liberarsi della necessità del carcere è senza dubbio importante. Lo è, sicuramente, se si utilizzano gli spazi di quello che è stato negli anni luogo di supplizio lento e smisurato, per diventare poi passaggio per un tentativo di superare il carcere come “non luogo”. Il passaggio dal supplizio all’abbraccio dell’anima è rappresentato dal cambio della guardia avvenuto nel corso dell’ultimo secolo: si è passati dal boia al cappellano, allo psichiatra, agli educatori, assistenti sociali, che hanno tentato di modificare ed eliminare gli spazi nel carcere. Perché, allora, parlare di punizione, di microfisica del potere, perché utilizzare un corridoio di un carcere dismesso per provare a dimenticare il carcere? Perché i luoghi vanno vissuti e stratificati. Vanno vivisezionati e annusati. L’operazione di riempire di parole un luogo gonfio di silenzi è senza dubbio un’operazione culturale e lo è sicuramente perchè al convegno del mattino seguirà, nel pomeriggio, la presentazione della “Cella di Gaudì”. Un progetto originale nato nella Casa Reclusione di Isili (adotta una storia) dove dodici scrittori incontrarono dodici detenuti e provarono a raccontare un pezzo della loro vita. Ecco, i due percorsi apparentemente lontani si uniscono: dal supplizio del corpo alla liberazione dei gesti attraverso le parole, passando per le curve di Gaudì che sono, in fondo, le curve della vita. L’inziativa organizzata dal FAI (fondo ambiente italiano) e fortemente voluta dalla Presidente Maria Antonietta Mongiu prevede un ricco programma. Alle ore 10.00 (dopo i saluti delle Autorità) la prima tavola rotonda dal titolo “il riscatto dei guardati senza sguardo”. Partecipano: Silvano Tagliagambe, filosofo, Matteo Papoff psichiatra Casa Circondariale di Uta, Bachisio Bandinu, antropologo, Pietro Ciarlo, costituzionalista e Gianluigi Gessa, nuroscienziato. Coordina Elena Sorci, giornalista. Alle 11.00 la seconda tavola rotonda dedicata all’universo femminile: “Le donne in reclusione ed il tema delle pari opportunità”. La tavola rotonda, coordinata da Gianfranca Fois del Fai di Cagliari vedrà la partecipazione di Rita Dedola, Preisdente dell’ordine degli avvocati di Cagliari, Cinzia Cittarella Medico Delegazione Fai di Cagliari, Teresa Pala Avvocato Delegazione Fai di Sassari, Fiorella Pilato Magistrato Corte d’appello di Cagliari e Annalisa Diaz Presidente Centro di documentazione e studi delle donne. La terza tavola rotonda è dedicata, esplicitamente a Michel Foucault e il titolo è:”L’istituzione totale nell’epoca della sua trasformazione in comunità educante: I primi passi del primo miglio . Coordina: Mario Marchetti Delegazione FAI di Cagliari e parteciperanno alla tavola: Gianfranco Pala Direttore Casa Circondariale di Uta, Carlo Pilia Giurista Università di Cagliari, Ettore Cannavera Responsabile Comunità La Collina, Giampaolo Cassitta, Ufficio Detenuti Provveditorato Amministrazione Penitenziaria Sardegna, Maria Antonietta Mongiu Presidente FAI Sardegna. Alle ore 18.00, coordinato da Susy Ronchi, giornalista televisiva sarà presentato il progetto “la cella di Gaudì” dove è prevista la presentazione del progetto letterario, raccontato da Maria Valeria Putzolu, responsabile dell’area educativa della Casa Reclusione di Isili. Ci saranno gli scrittori del libro e, più precisamente: Marcello Fois (che ha curato la prefazione della Cella di Gaudì) Salvatore Bandinu Laura Cabras Michela Capone Giampaolo Cassitta Michele Pio Ledda Savina Paolo Limbardi Dolores Massa Nicolò Migheli Claudia Musio Pietro Picciau Gianni Zanata. Saranno effettuate delle letture e delle interviste ad alcuni detenuti. Inoltre sarà presentato il progetto “Galeghiotto” sulla produzione ecosotenibile di formaggio, olio, miele, prodotto nelle colonie penali di isili, Is Arenas e Mamone.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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