Aveva drammaticamente ragione quando affermava: “Sento che, in futuro, le mie canzoni saranno cantate dalle prossime generazioni”. Non credo oggi esista, all’interno di un eterogeneo gruppo campione, fra attempati uomini di mezza età o brufolosi adolescenti, qualcuno che non conosca a memoria almeno un paio di strofe dei suoi pezzi.
Rino nasce a Crotone, nel profondo sud. Figlio di quella nobile e antica gente del meridione. Come molti corregionali, la sua famiglia è costretta a lasciare una terra tanto bella quanto ostile per salire su un treno diretto a Roma, in cerca di un lavoro e di una vita migliore. Il padre soffre di cuore e la mamma fa la portiera nello stabile dove vivono, in via Nomentana 53. I ritmi di lavoro serrati non permettono loro di badare al figlio più piccolo e decidono di mandarlo in un collegio di frati, a Narni.
In quei luoghi rigorosi e solenni, Rino modella le sue giornate sull’esempio di quelle dei monaci che gli vivono attorno. Giorni, mesi e anni tutti uguali che lui prova a trascorrere in maniera indolore con la sua creatività. Arma potentissima con cui era riuscito a disinnescare la monotonia della vita in collegio. Finalmente quei giorni, mesi e anni tutti uguali passano e lui, ormai maggiorenne, è desideroso di musica, rime e canzoni.
Torna a Roma e ogni notte si aggira famelico nei vicoli di Trastevere in cerca di ispirazione tra amici, locali e concerti. Non sarà affatto facile farsi strada nel rigido panorama musicale di quegli anni, pochissimo lo spazio concesso a chi, come lui, sgomita con una personalità ben definita ma difficile da classificare. Umoristico, anticonformista e tagliente gorgheggia, con appassionato disincanto, condizioni apparentemente allegre ma che celano un’accorata denuncia sociale.
A poco a poco quel meraviglioso clown musicale, abilissimo nel raccontare le magagne dell’Italia e degli italiani, riesce a conquistare un meritatissimo successo. Una carriera che si consolida in un crescendo inarrestabile fino a quella maledetta notte del 2 giugno.
Erano le 3:55 del mattino quando, alla guida della sua auto, percorreva via Nomentana. La lunga strada verso casa. Forse un colpo di sonno o forse un malore, Rino si accascia sul volante e invade la corsia opposta schiantandosi contro un camion. Quindi la disperata corsa al Policlinico, lui è già in coma dentro l’ambulanza, ma la struttura priva di una divisione per le lesioni craniocerebrali non è adatta. Bussano quindi alle porte del San Giovanni, del San Camillo e a quelle di altri tre nosocomi: nessuno ha disponibilità di posti letto.
Rino è morto così, alla disperata ricerca di soccorsi, in un’interminabile notte di quasi estate.
La strada molto lunga s’andò al S.Camillo e lì non lo vollero per l’orario. La strada tutta scura s’andò al S.Giovanni e lì non l’accettarono per lo sciopero. Con l’alba, le prime luci s’andò al Policlinico ma lo respinsero perché mancava il vice Capo. [La ballata di Renzo]
Le sue parole, diventate immortali, forse oggi hanno ancora più vigore di allora. Anche quelle fottutamente profetiche de La ballata di Renzo.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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