Non è stato il bacio con cui molti pittori hanno rappresentato l’estasi tra due amanti, proprio no.
Non era il bacio di Hayez, estremo e frettoloso, col piede sulla scalinata e l’idea della partenza imminente, né quello con cui Klimt univa un uomo e una donna in un unico corpo e neanche quello di Magritte, con le due bocche che si sfiorano, seppur coperte da un panno bianco, perché l’amore e la passione non hanno bisogno di tante parole.
Quello che il professor Fernando Aiuti, immunologo e docente di Medicina Interna, ha poggiato sulle labbra di Rosaria Iardino durante un congresso era un bacio di protesta.
Sono i primi anni ’90 e tutti ricordiamo il terrore che aveva generato quella sigla scritta a caratteri cubitali nei quotidiani: il mostro si chiamava HIV. Non lo conoscevamo, ma ci terrorizzava. O forse ci terrorizzava proprio perché non lo conoscevamo.
Un agente patogeno e inizialmente ghettizzante che pareva confinato ad alcune categorie di drogati e omosessuali eletti a untori; motivo per il quale, nell’immaginario collettivo, si era configurato come un morbo aggrappato ad ambienti sociali degradati o promiscui. Ricordo quando spaesati leggevamo e racimolavamo informazioni non sapendo bene come reagire, come comportarci e quanta paura avremmo dovuto avere di quel virus terribile piombato sull’occidente a castigare l’immoralità dei costumi. E se da un lato ci sentivamo, a torto, esonerati dal contagio dall’altro eravamo spaventati, di una paura generata fondamentalmente dal pregiudizio e dall’ignoranza. Un atteggiamento blandamente prudente e molto borghese aveva incapsulato la nostra apprensione. Eppure, nonostante i rinvii dal fondo, continuavamo ad essere consapevoli che non era certo lanciando i palloni in fallo laterale che avremmo potuto vincere la partita contro il timore.
Poi, in occasione di un congresso, è arrivato il bacio dell’immunologo dato a una donna sieropositiva, per fornire la prova indiscutibile che il virus HIV non era trasmissibile attraverso un semplice contatto fisico. Il gesto forte e provocatorio di un medico che intendeva demolire i pregiudizi nati attorno a quell’infezione e poi, a seguire, sono arrivate anche le prime campagne di sensibilizzazione per tentare di smorzare una psicosi che faceva temere anche le strette di mano.
Le terapie via via perfezionate hanno progressivamente indebolito l’epidemia e quasi vent’anni di silenzio hanno restituito l’illusione di una malattia ormai debellata ma, stando agli ultimi dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità, la percentuale di infezione in Europa non è molto inferiore a quella degli anni ’90.
Non c’è stata più alcuna campagna di sensibilizzazione, nessuna azione di prevenzione, non si è più effettuato alcun monitoraggio dei contagi e mancano i dati che consentano di tracciarne l’evoluzione. Calata l’attenzione verso l’AIDS è diminuita anche la sensazione di rischio e la prudenza nei comportamenti sessuali si è notevolmente abbassata.
È ormai da un po’ di tempo che la Lega italiana per la lotta all’Aids ha posto il problema al Ministero della Salute, soprattutto quello relativo alla carenza di dati, senza tuttavia ricevere risposta. Ma evidentemente per la Lorenzin le priorità sono altre. L’istituzione del fertility day, per esempio.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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