Quel 2 Agosto 1980 me lo ricordo, eccome. Faceva caldo. Come doveva fare caldo d’estate. Il cielo era un forno di pane. Noi, quell’anno, stavamo preparando, ad Alghero, il festival del “proletariato giovanile” che si sarebbe svolto in Piazza Sulis il 14 Agosto. Sarebbe stata, nelle nostre intenzioni, una festa sontuosa, allegra, figlia di quei tempi un po’ colorati, densa di indiani metropolitani, varie galassie della sinistra extraparlamentare, cani sciolti, intellettuali in erba, ecce bombo, alternativi, impegnati, cazzuti. Ci sarebbe stato, davvero, di tutto. Facevo parte di Teleradio Alghero 101 e la manifestazione, seppure non ufficialmente sponsorizzata dalla radio, era ben pubblicizzata e tutti i giorni c’era un’apposita trasmissione che si occupava dell’organizzazione della festa. Quel 2 agosto 1980 faceva caldo. Come doveva fare caldo d’estate, il cielo era un forno di pane. In radio, la mattina, passava musica varia e proprio quella mattina avrei dovuto registrare un programma che sarebbe andato nel pomeriggio. Dentro la sala “piccola” faceva caldo. Molto caldo. Qualcuno apprese la notizia al Gr1. Si parlava della stazione di Bologna, un’esplosione, forse una bombola. Dieci morti. Poi venti. Poi trenta. E la bombola cominciava a non avere più senso. Quel caldo aumentava e improvvisamente ci avvolse. Cominciammo ad incollarci ai giornali radio, la radio era l’unico mezzo che lanciava notizie in tempo reale. La musica passava ma nessuno la sentiva più. Cominciammo a percepire l’entità di quell’atto. Qualcuno cominciò a ricordare Piazza Fontana e i fascisti, e la strategia della tensione. Quella bomba nella città comunista. Bologna la rossa, sigillo di una manifestazione dove frange del movimento del 77 avevano attaccato platealmente il sindaco Zangheri. Era passato meno di un anno da quella manifestazione contro la “repressione”. Adesso quel caldo ci avvolgeva. La deflagrazione era dentro di noi. Dentro i miei 21 anni, dentro quel concerto che stavamo per organizzare, dentro quella musica che avremmo cominciato a suonare. Dentro quel vuoto che cominciava a restituire una terribile realtà. Quel 2 agosto me lo ricordo, eccome. Faceva caldo. Come doveva fare caldo d’estate. Il cielo era un forno di pane. Poi, alle 10.25 sentimmo tutti come un lungo brivido alla schiena. Ero in radio quel giorno. Probabilmente avevo un disco di Guccini in mano da mettere sul piatto. Probabilmente. Divenne buio dentro quel forno di dolore, di orrore e di silenzio. Quel giorno distrusse la mia giovinezza e molti sorrisi che avevo accumulato. Faceva caldo. Come doveva fare caldo d’estate.
Il cielo era un forno di pane, pronto per la sua cottura. Così scrisse il poeta Roberto Roversi, il 3 agosto su Paese sera. E io, quella poesia ancora la ricordo. Perché certe giornate maledette non si dimenticano.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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