P come Porajmos, l’espressione con cui i Rom e i Sinti indicano lo sterminio delle loro comunità per mano nazista. P come Perdasdefogu, il centro dell’Ogliastra individuato dal regime fascista per l’esilio degli zingari discriminati dalla dittatura. Lalla, la bimba Rom nata a Perdas da genitori in esilio. Ma andiamo con ordine.
La data del 2 agosto è tra le più ricche di disgrazie di cui il calendario si possa vergognare. Noi italiani commemoriamo le vittime della strage compiuta alla stazione di Bologna nel 1980, ma è bene ricordare che esattamente dieci anni dopo l’Iraq di Saddam Hussein invase il Kuwait scatenando la reazione delle potenze occidentali e dunque la Guerra del Golfo, i cui effetti su scala mondiale nel successivo quarto di secolo appaiono evidenti a tutti. Ma c’è anche di peggio, ammesso che si possa stilare una classifica degli orrori. Il 2 agosto del 1944, appena settantadue anni fa, nel campo di sterminio polacco di Birkenau iniziavano le sinistre manovre per l’eliminazione in massa di 2987 tra uomini, donne e bambini di etnie Rom e Sinti. Quasi tremila zingari reclusi nell’apposita sezione BIIe del campo, lungo nel suo complesso due chilometri e mezzo e largo due. Tremila esseri umani fatti scomparire in una notte nelle camere a gas, dopo essere stati sottoposti al sadismo pseudoscientifico del dottor Mengele, che utilizzava le persone come cavie da laboratorio per i suoi esperimenti. Settantadue anni dopo, ho provato un senso di angoscia nell’aggiungere a questo testo la foto che vedete allegata. È un’immagine scattata proprio a Birkenau durante le operazioni di schedatura: l’uomo in giacca e cravatta era il dottor Ritter, uno dei responsabili del campo, e un poliziotto lo assiste mentre una donna Rom sta per essere internata. Mi sono spaventato nel pensare che quando tutto questo avveniva mio padre era già un bambino di cinque anni e al mondo c’era già anche mia mamma, non perché loro c’entrino qualcosa ma perché impressiona sapere così vicino a noi questo genocidio, questa notte della ragione. Ad una sola generazione di distanza.
Gli zingari non piacevano neppure a Mussolini. Il regime li giudicava quanto di più distante dal modello di cittadino allineato ci potesse essere e, in definitiva, un pericolo. Cosicché, l’11 settembre (altra data di disastri) 1940 il capo della polizia Bocchini emise una circolare in cui si ordinava il rastrellamento delle varie etnie nomadi, per poi destinarne i membri a vari luoghi di detenzione in giro per l’Italia. Uno di questi luoghi era Perdasdefogu. Benché la circostanza storica sia stata messa in discussione dai soliti revisionisti, una bella pagina scritta da Giacomo Mameli (che è proprio di Perdasdefogu) per la Nuova Sardegna, il 3 aprile del 2011, porta testimonianze dirette e sancisce la certezza di quei fatti. Non era un campo di concentramento, intendiamoci, ma un esilio da cui non era permesso uscire e che imponeva agli zingari di firmare due volte al giorno in caserma. Solo che a Perdasdefogu quei pochi Rom si integrarono perfettamente, partecipando alla vita sociale e coronando il loro ingresso nella piccola comunità ogliastrina con una nascita: il 7 gennaio del 1943 vi nacque Lalla, figlia di Rosa Raidich. Due mesi prima che nascesse mia mamma, ora che ci penso.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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