Stasera guarderò “1992” su Sky Atlantic. Non so se sia un lavoro riuscito come dicono, ma l’argomento in sé merita la massima attenzione: 23 anni dopo l’apertura dell’inchiesta Mani Pulite, una serie televisiva rilegge quella fase spartiacque della repubblica italiana. Mi rivolgo a quelli troppo giovani per poter ricordare, a chi ne ha sentito vagamente parlare e non ha mai avvertito la curiosità di approfondire quelle vicende. Ragazzi, “Mani pulite” è stata la più importante inchiesta giudiziaria mai avviata in Italia. Con essa è venuto alla luce il sistema di corruzione dilagante col quale si sostenevano a vicenda grandi imprese e classe politica, un sistema poi da tutti conosciuto come Tangentopoli. Perché dovrebbe interessarvi? Perché non è cambiato nulla, perché se volete stare in un mondo migliore dovete capire. Perché se avete o avrete un’azienda non dobbiate essere costretti a pagare quel che non è dovuto, affinché vi sia consentito di lavorare. Come tuttora troppo spesso accade. Dovete capire chi e come rubava, capire perché certi furfanti di allora sono liberi di rubare ancora oggi, ancorché transitati per brevi periodi dalle patrie galere. Avevo vent’anni e mi ricordo la mia indignazione nel leggere, sull’Espresso, le intercettazioni telefoniche tra imprenditori e politici che concordavano mazzette. Ne ricordo una in particolare: “Dai, che ci facciamo quattro villazze in Kenya”. Con la mancia che gli era stata promessa, quel politico voleva costruire un residence in Africa. Ne avete sentito parlare anche voi di Tangentopoli, vero? Tangentopoli, un paese fondato sulle tangenti. Ecco, sappiate che quell’espressione giornalistica è nata allora, in quei mesi del 1992 seguiti all’arresto di Mario Chiesa. Chi era Mario Chiesa? Era il dirigente di una casa di riposo, il Pio Albergo Trivulzio di Milano, uno che chiedeva una percentuale alle imprese che rifornivano l’ospizio. Il magistrato Antonio Di Pietro lo colse con le mani nel sacco, mentre cercava di buttare nel cesso 7 milioni di lire che il titolare di una ditta gli aveva appena messo sulla scrivania. Di Pietro, il più mediatico e ruspante tra i magistrati di quella Procura: il raffinato leader Francesco Saverio Borrelli, il suo vice D’Ambrosio, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo. Il pool “Mani pulite” erano loro. Erano delle superstar, la gente vedeva in loro gli interpreti di un nuovo tempo di legalità e giustizia. Bettino Craxi, onnipotente segretario del Partito socialista e già capo del governo, minimizzò l’arresto di Chiesa definendolo “un mariuolo” e quell’aggettivo aveva una profonda e riduttiva carica semantica: un mariuolo, ovvero un rubagalline maldestro, un ladro di second’ordine. Ben presto, invece, l’inchiesta avrebbe aperto le sbarre delle celle a centinaia di persone tra politici e imprenditori, ai tardivi pentimenti di altrettanti mariuoli seguirono torrenziali confessioni, manager e capitani d’industria di primissimo piano come Gabriele Cagliari e Raoul Gardini scelsero il suicidio, i vertici della Democrazia cristiana e del Partito socialista furono decapitati, prima che quegli stessi partiti scomparissero dalla scena politica. Craxi scappò sotto il lancio di monetine dall’albergo in cui viveva, poi si diede alla macchia, in Tunisia, dove morì da latitante. Il giro d’affari della corruzione venne calcolato in diecimila miliardi di lire all’anno: soldi finiti spesso nelle tasche di gente che non aveva lavorato un giorno in vita sua. Soldi sottratti alla gente comune.
Finché, da un certo momento in poi, i magistrati eroi divennero “toghe rosse” e furono dipinti come responsabili di un colpo di Stato attuato per via giudiziaria. Tutto stinse nel pettegolezzo, nel giornalismo un tanto al chilo incaricato di denigrare, calunniare, delegittimare. E ora, ragazzi, chiedetevi perché di questo cataclisma sapete poco o nulla. Chiedetevi il perché, se il presente è peggio di quel passato appena dietro l’angolo.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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