Il 9 ottobre 1967 moriva Ernesto Guevara. Aveva 39 anni e io soltanto otto. Quando è morto non l’ho saputo e non me ne sono accorto. Ci siamo ritrovati io e il Che dopo qualche anno, precisamente nel 1973, quando avevo 14 anni e cominciavo a disegnare. Un mio caro amico mi aveva insegnato la tecnica di inchiostrare i poster esclusivamente in bianco e nero e con molte ombre. Quando vidi la fotografia del Che, quella che fece Korda e che la titolò “guerrillero heroico”, compresi che quello sarebbe stato il mio eroe anche se non era ancora un mito. D’altronde nel 1973 non c’erano tutti gli strumenti affinché un uomo diventasse un icona. C’era l’idolatria di alcuni (Togliatti, Gandhi, Kennedy) ma non erano divenuti icone “pop”. Per me, poi, che a quei tempi prendevo le cose molto seriamente, quel volto rappresentava una storia bellissima: da quel viaggio effettuato nel 1951 in giro per il Sudamerica, quel vagare apparentemente senza meta dentro una terra che riteneva“tutta” sua; quella strana rivoluzione per una patria – Cuba – che non era sua e che accadde nel 1959, l’anno della mia nascita; quelle parole forti che giravano intorno alla sua persona, a quel rivoluzionario guidato da grandi sentimenti d’amore; quelle parole dentro il palazzo dell’Onu raccontate come capo della delegazione cubana; quella voglia di parlare sempre di popolo e di liberazione, di sfruttati e di vilipesi con cui la storia, un giorno, avrebbe dovuto fare i conti; quell’ultima battaglia in Bolivia alla ricerca di tracce di libertà perché “bisogna sempre essere capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque e in qualunque parte del mondo. E’ la qualità più bella di un rivoluzionario”. Ecco, quel volto, rappresentava tutto questo: era un volto duro che non perdeva la tenerezza. Il poster 100X70 campeggiò sopra il mio letto per anni, vicino a quello di Antonio Gramsci. Non so cosa farebbe oggi Che Guevara e, soprattutto, cosa sarebbe diventato. Però mi piace pensarlo come un piccolo eroe dei nostri tempi. Bello perché gli eroi son tutti giovani e belli, forse troppo icona e troppo pop, però vero e intenso come solo la passione riesce ad essere. Non dico “hasta la victoria siempre” perché sarebbe troppo ridicolo. Gli anni sono passati. Ma, intimamente lo penso, come penso che dovremmo vivere in un posto più bello e più equo magari con un piccolo poster del Che. Non ci farebbe male.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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