È convinzione comune che l’Europa non abbia mai affrontato flussi migratori dall’Africa massicci come quelli dei nostri giorni. “Fino a mezzo milione di persone attese sulle nostre coste per quest’anno”, strillano i titoli di molti quotidiani. Ma sarà vero? No, non lo è. Nell’anno 1962, la sola Francia ha dovuto fronteggiare l’arrivo di oltre un milione di profughi. In un solo mese di quell’anno, era giugno, trecentomila persone partirono dall’Africa e 150 mila arrivarono via mare a Marsiglia, con mezzi di fortuna e dopo viaggi avventurosi. Anche allora, questa gente scappava dalla violenza e cercava un lavoro. Anche allora, l’Europa pensò di ergere una barriera di navi per impedire gli imbarchi e espresse chiaramente la propria insofferenza per quell’ondata oceanica di nuove bocche da sfamare. Cinquantatré anni fa. Ma quei fatti li ricordano solo in pochi. Mi sono tornati alla mente perché da qualche settimana sto scrivendo la biografia di un sardo emigrato in Francia negli anni quaranta, la cui fortuna è in larga parte connessa a quella migrazione. Quei profughi sono passati alla storia come Pieds Noirs, I Piedi Neri.
I Pieds Noirs erano i francesi residenti in Algeria, l’Algeria non stato indipendente ma provincia della Francia. Francesi per modo di dire, spesso solo per lontana origine, perché nella maggioranza dei casi si trattava di discendenti di padri o nonni francesi arrivati in Algeria agli albori della lunga dominazione di Parigi. Gente che la Francia non l’aveva proprio mai vista.
La lunga e sanguinosa guerriglia degli indipendentisti del Fronte nazionale per liberare l’Algeria si concluse nel 1962 quando, con gli accordi di Evian, De Gaulle accettò le rivendicazioni autonomiste della Provincia. Ma l’indipendenza non significò pace immediata. Partì, invece, la rappresaglia verso il francese, una sete di vendetta verso impiegati, piccoli burocrati, contadini con la colpa di avere sangue europeo, costretti a fuggire sotto la minaccia “o la valigia o la tomba”. E partirono tutti, quei Pieds Noirs. Ammassati in condizioni igieniche precarie nei porti di Algeri e Orano, partirono e arrivarono in Francia in quel 1962, accolti dall’odio di chi vedeva in loro solo degli invasori e dal fuoco di sbarramento della propaganda di sinistra, secondo cui i profughi erano espressione di una destra sfruttatrice. Il sindaco di Marsiglia, il socialista Gaston Defferre, pubblicamente dichiarò che non erano graditi.
Questa gente, invece, lasciò case e averi guadagnati in una vita per scappare dalla morte, riparando in una terra di fatto straniera, senza la garanzia di un lavoro né di un alloggio. Le cronache del tempo raccontarono questo esodo sottovoce: i Pieds Noirs rappresentavano il simbolo in carne e ossa della sconfitta francese, un altro duro colpo alla Grandeur che andava minimizzato. Un milione di persone in un solo anno, questo fu la migrazione dei Pieds Noirs. In Italia, nel 2014, sono stati censiti 170 mila profughi. Ho scritto che quasi più nessuno ricorda i Pieds noirs. Perché? Perché la loro integrazione in Francia e negli altri Paesi europei è perfettamente riuscita.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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