Oggi compie 74 anni Umberto Bossi, fondatore della Lega e ispiratore di tutta una generazione di politici nata e cresciuta negli ultimi vent’anni. Oggi lo si vede molto meno di una volta, a causa dell’ictus che undici anni fa lo ha di fatto tolto di mezzo dalla politica attiva relegandolo al ruolo di figura simbolica dei sedicenti padani. Ma se oggi Matteo Salvini è un protagonista di primo piano della scena istituzionale, l’Italia tutta lo deve a Umberto Bossi. Un cui fratello, Franco, di professione meccanico, fu non a caso assistente di Salvini all’europarlamento, tra il 2004 e il 2009.
Il messaggio di Bossi era infarcito di volgarità, gestualità esasperate, conteneva un ostentato cattivo gusto nel dire e nel vestirsi che doveva essere percepito come spontaneità e avrebbe, nei fatti, avvicinato una certa gente comune al movimento di sua creazione, gente rapita dal mito della Padania libera dall’odiata Roma, libera dall’immigrazione che, in quegli anni, era rappresentata dai meridionali che andavano a cercare lavoro al nord e non dai barconi dei profughi in viaggio dall’Africa. Nato a Cassano Magnano il 19 settembre del 1941 da un operaio e una portinaia, collezionista di impieghi saltuari, Umberto Bossi ebbe in gioventù la tessera del Partito comunista (ma lui sul punto preferisce glissare) e partecipò ad iniziative contro le dittature sudamericane. Nelle liste del partito risultava in possesso di un diploma di maturità scientifica, nei fatti si era diplomato perito elettrotecnico alla scuola Radio Elettra. Tentò anche la carriera di cantante col nome d’arte di Donato, ma la sua partecipazione al Castrocaro del 1961 venne stroncata fin dalle selezioni preliminari. Sposatosi nel 1975, la prima moglie chiese il divorzio nel 1979: Bossi non aveva un lavoro fisso ma, a quanto dichiarato dalla compagna in un’intervista, in famiglia raccontava di essere un medico ospedaliero, ragion per cui usciva tutte le mattine trascinando una capiente borsa. In realtà, il futuro leader della Lega non si era mai laureato. La passione per i movimenti autonomisti lo travolse nei primi anni ottanta, quando conobbe il segretario dell’Union Valdotaîne. Nel 1983 fondò prima la Lega Lombarda e poi la Lega Nord quindi, dopo iniziali infelici esperienze elettorali, divenne senatore nel 1987. In quel periodo iniziò il suo sodalizio col giovane avvocato Roberto Maroni, oggi governatore lombardo. Per tutti era diventato Il Senatur, appellativo che lo accompagnerà per sempre. I suoi comizi nel quartier generale di Pontida erano una successione di gesti dell’ombrello e dito medio alzato all’indirizzo di “Roma Ladrona”, uno degli slogan che mandavano in visibilio il sempre più folto pubblico leghista. Un linguaggio del corpo che mirava a sottolineare la diversità della gente padana, la sua differente natura dagli altri italiani e incitava alla sommossa in funzione della “secessione”, altro termine diventato per anni attualissimo nel lessico politico. Bossi sostenne con entusiasmo la campagna Mani Pulite che scoperchiò il puzzolente pentolone di Tangentopoli ma poi, quando i magistrati scoprirono una mazzetta di 200 mila euro incamerata dal Senatur, egli cambiò repentinamente registro ed evocò pallottole da indirizzare a chi indagava su di lui. Peraltro, per quella tangente Bossi è stato condannato in via definitiva. Nel 1994 la Lega entrò nel primo governo Berlusconi e, nel luglio di quell’anno, Bossi rilasciò impegnative dichiarazioni politiche dalla spiaggia del Pevero, a Porto Cervo. Ma più che dei concetti espressi, ci si ricorda tutti della canottiera a costine che indossava durante le interviste. Il governo Berlusconi cadde dopo soli sette mesi, per effetto di una mozione di sfiducia firmata proprio a casa di Bossi e innescata da Massimo D’Alema. Al che i canali Fininvest iniziarono una violenta campagna contro la Lega e il cosiddetto ribaltone, cui rispose la Padania insinuando ripetutamente di rapporti tra mafia e Berlusconi. Ricordo ancora oggi, ad un’assemblea leghista svoltasi in quelle settimane, la pioggia di oggetti contundenti scagliati dai militanti contro un inviato di Retequattro: i giornalisti dell’ex alleato Berlusconi erano, nel breve volgere di qualche giorno, diventati nemici da zittire. Bossi tenne alto il morale della truppa con un altro classico del suo repertorio di slogan: “La Lega ce l’ha duro!”. Dando quasi ad intendere che per primeggiare nei palazzi del potere e in una casa di tolleranza siano richiesti gli stessi requisiti. Poi, nel 1996, proclamò una improvvisata indipendenza della Padania, cui qualcuno diede credito. Sette anni dopo il voltafaccia, nel 2001, Lega e Forza Italia torneranno assieme nel secondo governo Berlusconi, questo arrivato sino a fine mandato e di cui il Senatur fu ministro per le Riforme istituzionali. La carriera politica di Bossi è finita a metà di quella legislatura, causa l’ictus che lo ha costretto ad una lunga riabilitazione privandolo tuttavia delle piene facoltà fisiche. Il tentativo di affidare il testimone al figlio Renzo, detto Il Trota, è naufragato drammaticamente dopo le prime, sbalorditive uscite pubbliche dell’erede, mentre l’inchiesta sulla gestione dei fondi del partito ha costretto il fondatore della Lega a dimettersi dalla segreteria nel 2012. Il passaggio in politica di Umberto Bossi, tuttavia, è stato incisivo. Ha inventato una nuova politica, il cui giudizio lascio a ciascuno di voi.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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