C’era un’aria livida quel giorno a Milano. C’era aria di assalto al cielo. C’era stato il maggio francese e quell’aria del 68 cominciava a girovagare anche dalle nostre parti. Antonio Annarumma aveva 22 anni. Lavorava come poliziotto nel terzo reparto celere e quel giorno, il 19 novembre 1969, doveva prestare servizio durante una manifestazione indetta dall’Unione comunisti italiani e dal movimento studentesco, quello rappresentato da Mario Capanna. Quel giorno cominciò probabilmente il gioco terribile tra lo Stato – quello Stato – e alcune frange dell’Autonomia. Quel giorno diventammo tutti più adulti e più tristi. Quel giorno, quel maledetto giorno, Antonio Annarumma morì. Ci fu guerriglia quel maledetto giorno. Candelotti lacrimogeni, mezzi della polizia a sirene spiegate, adrenalina che avvolgeva tutto. Annarumma aveva 22 anni. Era poliziotto per caso o forse per forza. Non ebbe neppure il tempo di comprendere da che parte stare. Non ebbe neppure la forza di poter dissentire. Antonio Annarumma, di Monteforte Irpino, figlio di un sud dimenticato e da dimenticare, venne ucciso e la sua morte rimase, per sempre, avvolta nel più cupo mistero. Furono momenti concitati, furono ore da dimenticare. La versione ufficiale parla di un tubo che penetrò nel cranio del giovane poliziotto, un tubo che, probabilmente, lanciarono dei manifestanti contro il mezzo che il giovane guidava. Morte pressoché istantanea. C’è un’altra versione. Quella dei manifestanti che raccontarono un’altra verità: era stato uno scontro fortuito tra due automezzi della polizia. C’era addirittura un filmato di una troupe francese che poteva avvallare questa ricostruzione. Era il 1969. Il medioevo della comunicazione e l’alba degli anni di piombo. Qualcuno, dopo molti anni scrisse che Annarumma fu la prima vittima degli anni di piombo, fosse il punto di partenza per la ricostruzione di ciò che è stato il terrorismo in Italia. Erano indubbiamente anni duri. Dove tutti, più o meno, siamo passati come sospesi. Il giorno dei funerali ci fu un gesto importante che non venne compreso. Mario Capanna vi partecipò per dimostrare che il movimento studentesco era estraneo a quella morte. Fu un momento importante che provò a stemperare il clima livido che a Milano si era creato. Capanna non fu chiaramente creduto e quel giorno, al funerale, rischiò il linciaggio. Avevo dieci anni quando capitarono i fatti ed ero preso dai gol di Gigi Ria che proprio in quel periodo giocava per vincere uno storico scudetto con il suo Cagliari. Avevo dieci anni che sono l’età dell’innocenza. Di Annarumma nulla sapevo e immaginavo il 19 novembre del 1969. Però, col passare degli anni compresi tutti i passaggi, quegli scontri, quella voglia di ribellarsi che per qualcuno divenne attaccare il cuore dello Stato. Da adolescente imparai a memoria la poesia di Pier Paolo Pasolini sulla guerriglia di Valle Giulia e decisi, istintivamente, di stare dalla parte del torto che stranamente era quella dello Stato, quella con la S maiuscola, rappresentata anche e soprattutto da gente come Annarumma, figlio del sud, poliziotto per forza e morto per caso. Ma non inutilmente.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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