Nel 1998 (sono trascorsi esattamente 24 anni da quel 19 marzo) in Italia si discuteva delle 35 ore lavorative. Era una richiesta nata all’interno del Governo Prodi (vicepresidente del Consiglio era Walter Veltroni) e sponsorizzata da Fausto Bertinotti e rifondazione comunista. Ho sorriso nel ritrovare questa notizia negli annali di Repubblica. Ho sorriso perché le ere geologiche in politica durano davvero un battito di ciglia. E sorrido – di tristezza e non di compiacimento, ahimè – perché in quel periodo eravamo tutti così concentrati a guardare il dito che nessuno aveva posto il suo sguardo sulla luna. Gli attori sono per la maggior parte scomparsi, dileguati in questa politica digitale e veloce. Non c’è più Prodi, non c’è Veltroni, sparito Bertinotti, deceduto Franco Marini, dimenticato Antonello Soro, desaparecido Mariotto Segni e ancora galleggiante Massimo D’Alema. Tutti attori protagonisti di un progetto che aveva un bel potere ideologico ma che, in realtà, tutti sapevano che non si sarebbe mai realizzato.Il 19 Marzo del 1998 si incontrarono i sindacati e la Confindustria e il risultato fu scontato: chiusura totale da parte degli industriali. Le 35 ore non erano una proposta che avrebbero mai accettato. Dall’altra parte, ovvero dentro il governo, la situazione era piuttosto complicata: “Abbiamo cercato di capire cosa deve fare il governo da grande…”. diceva Fausto Bertinotti non nascondendo un sorriso, mentre tirava le somme del secondo dei suoi faccia a faccia con i leader della maggioranza, convinto che fosse andato tutto bene definendo un sabotaggio ricattatorio (con molte erre mosce) lo strappo di Confindustria. Bertinotti, lo ricorderete, era uomo sanguigno seppure con piglio aristocratico (sempre con molte erre mosce) e la battaglia sulle 35 ore era il fulgido esempio che la sinistra era davvero arrivata al potere. Le cose non andarono come prevedeva Bertinotti e le 35 ore rimasero solo un misero sogno di una classe operaia “fregata” dalle stesse battaglie ideologiche che portarono la maggioranza allo sfascio. Lo ricordo per rammentare a me stesso e agli altri (anche quelli che ci governano attualmente, per intenderci) che le richieste da “anime belle”, le lotte di “dignità” sono assolutamente importanti, ma necessitano di una forza ed un’unione che nel 1998 in quel governo non c’era e non c’è neppure in questo governo piuttosto “sgarrupato”. Così, come diceva Andreotti – uno che la politica l’ha masticata da sempre – era meglio tirare a campare che tirare le cuoia. Sono passati 24 anni e le 35 ore lavorative sono un lontano ricordo, segno che siamo da molto tempo orfani di governi che sappiano dare assetti strutturali e duraturi ad un paese abituato a vivere alla giornata. Senza orizzonti e senza memoria.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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