PALERMO - SI RIAPRE IL CASO BORSELLINO - LE DICHIARAZIONI DI UN PENTITO POTREBBERO PORTARE ALLA REVISIONE DEL PROCESSO PER LA STRAGE DI VIA D AMELIO DEL 1992 - PAOLO BORSELLINO (Agenzia: EMMEVI) (NomeArchivio: BORS0w4y.JPG)
Ci ritorno. Come ogni anno dal 1992. Come una campana che segna le ore e non smette mai. E neppure sbaglia. Ci ritorno ad osservare gli occhi e lo sguardo di un uomo perduto, di un uomo schiacciato tra lo Stato e la mafia. Ci ritorno perchè quel giorno, quella domenica di luglio, quella giornata di mare e di sole mi ritorna sempre indietro, come un rigurgito, come un qualcosa che non sono mai riuscito a digerire. Una storia di ombre, di sparizioni, di tradimenti, di gente che, in nome dello Stato, ha compiuto delle trattative con uomini che dovrebbero stare in carcere e non avere nessun contatto con la società. Una storia cattiva, che parte da lontano, inseguita da uomini siciliani come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Una storia che ha poco da raccontare ed invece avrebbe molto da spiegare. Ma non c’è stata spiegata. Soprattutto sulla morte di Paolo Borsellino, accaduta il 19 luglio 1992, la verità non è stata ancora scritta e, probabilmente, non la conosceremo mai. Come non troveremo mai l’agenda rossa, come non abbiamo mai trovato il verbale del processo ad Aldo Moro, come non riusciremo mai a capire – se non giocando sulle supposizioni – che cosa, davvero, è accaduto in quell’anno feroce dove son saltati in aria due giudici (e le loro scorte) che avevano reciso tutti i cordoni tra la mafia e lo Stato. Quello Stato che, in qualche modo, non è riuscito a difenderli. Il 19 luglio 1992 era domenica. Mi trovavo ad Alghero, con i miei figli che avevano, all’epoca, sei anni. Tornai a casa e accesi il televisore. E capii. Guardai i miei figli e capii quanto fosse importante urlare, dissentire, provare a raccontare e capire. Quel giorno capii quanto fossero dentro la mia vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quel giorno, quel maledetto giorno tutto, per un attimo tutto si oscurò.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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