Ho amato e amo moltissimo un suo libro “Il pendolo di Foucault” e l’ho letto tre volte. Per amore, per perdermi dentro il gioco degli incastri e dei complotti inverosimili eppure possibili, in un paese dove tutto sembra sempre precipitare, dove tutto è possibile che possa accadere, dove c’è sempre un Diotiallevi che ha risposte plutoniche, massoniche, cospiratrici. Ma non solo: Il pendolo di Foucault è un esercizio di stile dove Umberto Eco – che ha lasciato questo mondo ormai da due anni – si divertiva a costruire mondi e complotti paralleli. Più del nome della Rosa il pendolo rappresenta lo stile inconfondibile di un intellettuale vero, puro, di uno spirito libero sempre pronto a prendere e prendersi in giro. La vita, per Umberto Eco, era un grande gioco dove le parole avevano un reale peso specifico e attraverso le parole costruiva il mondo. Prima di laurearmi ho studiato quasi a memoria il suo libello “Come si fa una tesi di laurea”, ho letto quasi tutte le “Bustine di minerva” l’ultima pagina del settimanale l’espresso; mi sono entusiasmato all’inverosimile per il pendolo, (perché non ne hanno mai tratto un film?) ho amato molto meno “L’isola del giorno prima” e non sono riuscito ad apprezzare “La misteriosa fiamma della Regina Loana”, mentre mi è piaciuto moltissimo il suo ultimo romanzo (2015) “Numero zero”, la storia di un ghost writer fallito che viene chiamato per il lancio di un nuovo giornale dal titolo evocativo “Domani”. Però rimango sempre dell’idea che Casaubon, l’io narrante e protagonista del Pendolo di Foucault, racchiuda l’estremo amore per le storie e le parole. Ciao Umberto: mi manchi. Terribilmente. Sono cresciuto con le tue parole e ho intrecciato molte tue storie. E non me ne pento.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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