Tra i tanti fumetti che ho letto e amato, Diabolik non l’ho capito. Non per l’idea, di per sé geniale e nata dall’intuizione di due sorelle Angela e Luciana Giussani (Luciana era nata il 19 aprile del 1928) quanto per la storia abbastanza banale e sempre identica: un criminale, la sua compagna e un ispettore che perde sempre. Fin dal primo numero, uscito nel 1962, si capisce che Diabolik sarà il re del terrore e il suo scopo è rubare denaro e gioielli con colpi sempre più difficili e complessi utilizzando, per riuscirci, delle maschere identiche a moltissimi protagonisti, Ginko compreso. Capirete che, fin da adolescente, certe cose non tornavano: come faceva a costruire queste benedette maschere (e, comunque una ragione, seppure fumettistica ce la possiamo fare) ma riuscire, in un attimo, a carpirne la voce, le intonazioni e soprattutto l’altezza delle persone che sostituiva non l’ho mai capito. Diabolik è capace di prendere le identiche sembianze uno più alto (può mettersi i tacchi, direte voi) o ad uno più basso (e qui, vi vedo in difficoltà); è capace di utilizzare accenti di ogni regione (non è in Italia, d’accordo, ma in tutte le nazioni ci sono zone con accenti diversi) e riesce sempre a farla franca (e questo, in un fumetto ci sta). E’ stato molte volte ferito, condannato a morte lui e la sua fedelissima compagna, hanno provato in tutti i modi a prenderlo senza mai riuscirci. È l’ossessione di Ginko che non ha mai fatto carriera ma non è mai stato sbattuto in un paese sperduto a cercare ladri di polli. Non riesce a prendere Diabolik ma è l’unico che continua a rincorrerlo. È un fumetto semplice dove l’eroe – in questo caso negativo – vince sempre. Come in tutte le storie che si rispettino, solo che in questo caso a vincere è il cattivo. E sotto sotto siamo contenti.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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