Siamo sempre tutti sul pero a controllare la libertà di tutti e in un attimo riusciamo a contestare alcune scelte che, a nostro avviso, non sono in linea con quello che noi riteniamo giusto e sacrosanto. Insomma, la libertà non è stare sopra un albero (Gaber ce lo ricorda) con i sogni sulle nuvole, ma è più prosaicamente e semplicemente partecipazione. Il burkini (o burqini) è diventato in questi giorni il metro di paragone e costituisce il giusto peso che si intende attribuire alla libertà, soprattutto quella occidentale ed emancipata (come se esistesse solo questa). In Francia alcuni sindaci lo vietano, in Italia nicchiano e la Merkel ha dichiarato che con il burka non si raggiunge la vera integrazione. Alcune femministe (a quanto pare esistono ancora) urlano contro questa nuova limitazione sul corpo della donna, altri ritengono che occorre discuterne. Bene. Diciamo subito che l’autodeterminazione delle persone è cosa squisitamente personale dove nessuno dovrebbe metterci il naso, ma per un attimo ho provato a pensare a tutte le cose che noi occidentali-democratici-libertari-pacifisti-disponibili-e-tante-altre-cose-ancora riteniamo siano degne di essere accostate alla parola libertà. Noi siamo liberi di andare al mare come vogliamo, metterci il topless o il costume a palloncino, le nostre donne sono libere di farlo e sono felici di depilarsi perché nessuno le obbliga (figuriamoci). Siamo liberi di scegliere gli abiti che vogliamo, non c’è nessuna moda che seguiamo. Siamo noi a decidere che quest’anno vanno di moda i pantaloni alla zampa d’elefante e l’anno successivo quelli strettissimi a sigaretta. Siamo noi che decidiamo come truccarci, come tatuarci, nessuno ce lo impone (figuriamoci). E’ la nostra libertà. Che poi se questo esprimerci, se questo librarci è solo una squallida espressione del conformismo pazienza, è la nostra cultura a volerlo. Ricordo che molti contestarono in una trasmissione degli anni novanta il modo di vestirsi di tale Mago Otelma della cui credibilità tutti avevano dubbi. Parlava con il plurale maiestatis e vestiva con tonache sgargianti. Era un personaggio “sui generis” e personalmente lo ritenevo uomo furbissimo e di spettacolo. Eppure i suoi abiti, il suo modo di vestire ed officiare era molto simile a quello di molti sacerdoti sparsi nelle varie stanze delle tante religioni rispettabilissime di questa terra. Il burkini può non piacere, può non essere considerato un gran capo alla moda o alla “page” ma ha la stessa radice del bikini, del tanga, del tatuaggio: sono tutte cose semplicemente imposte; solo che quelle che utilizziamo noi, nel nostro mondo, le consideriamo conquiste di estrema libertà, quelle che sono “diverse” dal nostro sitle di vita sono cose terribili che limitano la libertà degli individui. Ah quanti danni produce stare sopra gli alberi a parlare di libertà.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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