E adesso da qualche anno si parla dell’ “Ultima copia del New York Times”. E’ diventato uno slogan sociologico, un emblema della fine della carta stampata divorata dalla rete. In che anno del futuro prossimo uscirà l’ultima copia di carta del NYT e di tutti gli altri giornali che dopo che li leggi ci puoi involgere il pesce? Provaci con uno smartphone a involgere il pesce. E infatti per ora vicino all’insegna del giornale, sulla facciata del grattacielo nella 43° Strada, c’è ancora scritto “All the news that’s fit to print”: Tutte le notizie che vale la pena di pubblicare. Non è una coglionata qualsiasi, vi rendete conto? E’ il corpo del giornalismo. E quindi della democrazia. Vuole dire che non ci sarà niente e nessuno che potrà impedire di rendere pubblica una vera notizia. Non ci riusciranno politici e/o gangster, non interessi extra editoriali condivisi dall’editore, nulla. Il vero Quarto Potere, quello puro, non quello ambiguo raccontato da Orson Welles e dal suo immortale Cittadino Kane. Se vogliamo parlare di vecchi film, il ruolo da “cane da guardia” dei giornalisti è ben descritto in quello dove Humphrey (scusate il tono confidenziale, ci diamo del tu), accanto alla rotativa, dice al criminale che al telefono gli chiede cosa sia quel chiasso: “È la stampa, bellezza! La stampa! E tu non ci puoi far niente! Niente!”. Quanti di noi giornalisti barbogi si sono fatti giganteschi rasponi pensando a questa scena finale dell’ “Ultima minaccia” di Brooks!
E adesso, con questo po’ po’ di carico nobile sulle spalle, anziché celebrare il passato, piangiamo sul futuro. E poi, quando vai a chiedere ai lettori se sono terrorizzati all’idea dell’imminente ultimo numero del loro pezzo di carta, senti risposte che ti lasciano un poco così. I più giovani, più o meno, ti dicono che loro si informano dalla rete e dalla tv e che quindi in linea di massima non gliene fotte una mazza. E aggiungono che sono poco disposti a scucire grana per pagarsi l’informazione. Brutta notizia, questa, per i siti a pagamento. Molti tra i più anziani, se nella tua ricerca sociologicamente corretta hai come campione i lettori di un giornale locale, ti dicono: “Cazzo, e come faccio per i necrologi?”. Che tu nel questionario non avevi messo e quindi classifichi la risposta nella casella “Altro”. Ma è davvero la rete a soffocare il vecchio involto per il pesce? Certo la sua parte la fa. Ma c’è altro. Se guardi la situazione in Italia, a esempio, ti accorgi che la televisione ha relegato la carta stampata a una quota del mercato pubblicitario che se non mi sbaglio non tocca il venti per cento. E per chi di voi non lo sapesse, i giornali non si reggono sul risibile guadagno in edicola, ma sulla pubblicità. A meno che non vogliamo tornare ai tempi dei petrolieri, quando a molti “editori” non gliene fregava niente se il giornale era in attivo o in passivo, perché tanto gli serviva ad altro. Certo non a fare il cane da guardia contro il potere. E poi, sempre per dire che il web non ha tutte le colpe, guardate un poco come è organizzata la distribuzione dei giornali in Italia. Vecchi e costosissimi imbuti arrugginiti, più che agili reti di diffusione utili a fare fronte alla concorrenza di mezzi di informazione infinitamente più veloci. Inoltre l’abbonamento è pressoché sconosciuto, mentre questa prassi, se diffusa, creerebbe un rapporto più stretto con la testata prescelta, oltre ad aiutare notevolmente gli editori nel programmare gli investimenti. Ma in Italia chi si fida della rapidità e dei costi dei servizi postali? Io, a esempio, una volta mi sono abbonato a un periodico al quale sono affezionato e per un anno intero non ho visto l’ora che scadesse il contratto per riprendere a comprarlo in edicola e leggerlo nel giorno in cui esce, non la settimana successiva. E poi ci siamo noi, i giornalisti. L’ultima generazione ha capito tutto ed è fatta per lo più di gente in gamba. Ne ho conosciuti di giovani alle scuole di giornalismo e hanno una preparazione e una determinazione di tutto rispetto. I colleghi anziani che mi dicono “noi sì che siamo in gamba perché ci siamo formati sulla strada”, non mi trovano d’accordo. Anche questi ragazzi si formano sulla strada, ma pure ai corsi universitari. E hanno una marcia in più. Ma la diffusa condizione di precarietà lavorativa e gli ultimi contratti davvero punitivi hanno messo i giovani, questa straordinaria risorsa, in una posizione di oggettiva debolezza. Dipendono dai “vecchi”, molti dei quali, forse moltissimi, sono sordamente critici, oppositori delle incalzanti novità, intimamente convinti che soltanto il modello di giornale che loro padroneggiano è quello giusto. Gente che bestemmia quando contratti e patti integrativi li costringono a confrontarsi con la rete. Sulla quale magari, con il peso del loro ruolo di comando, riversano modelli, stili e ritmi che appartengono al mondo che sta finendo. Clay Shirky dice che non bisogna ingannare i giovani facendo loro credere che la carta stampata abbia un futuro. Io quando ho scoperto Shirky mi sono fatto l’idea che Marshall McLuhan, il più grande studioso delle comunicazioni di massa, abbia finalmente un erede. Questo per dirvi quanto stimi Shirky. Però mi permetto di pensare che meglio sarebbe precisare che la carta non ha un futuro uguale al suo passato. Ma un futuro, non so quale, ce l’ha. E comunque a stare in buona salute è l’informazione, in qualsiasi maniera la si offra. Il New York Times ha da qualche anno la più bella edizione online del mondo. Qualcuno che di continuità dei principi se ne intende, ha fatto una piccola sostituzione nel motto della testata. In “All the news that’s fit to print” il verbo “print” è stato sostituito da “click”. Tutte le notizie che vale la pena di cliccare. Tranquilla, gente, tutto come prima.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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