Erano due ragazzi tranquilli. Non molto diversi da nostro nipote, dal figlio della vicina di casa, dal giovane barista che ci fa il caffè al mattino. La sera del 18 marzo via Mancinelli, a Milano, comincia a spegnersi piano. Le serrande dei negozi si abbassano rumorosamente e gli ultimi viandanti, in ritardo per la cena, affrettano il passo. E’ quell’ora un po’ strana che segna lo strappo temporale tra l’operosità frenetica della giornata e l’ingresso nelle sonnacchiose attività serali. Una divisione che ha del magico, nel suo essere sospesa tra due universi quotidiani. Dalle finestre aperte di qualche casa provengono i comunicati del telegiornale, la notizia è sempre la stessa e rimbalza incessantemente in ogni tv: il sequestro Moro avvenuto due giorni prima.
Quei due placidi ragazzi sono diretti a un concerto blues. Hanno pantaloni a zampa di elefante, camicie a quadri, giubbotti sdruciti e capelli lunghi. Hanno anche progetti da realizzare e ideali da difendere. Il Centro sociale Leoncavallo li annovera tra i suoi attivisti, indagano sullo spaccio di droga. Si fermano davanti a un’edicola per commentare i titoli dei giornali, chiacchierano di Moro, degli studi, dei sogni accompagnati dalle chitarre di Neil Young e Pat Metheny Hanno 19 anni un concerto da ascoltare e una vita da rincorrere.
Radio Popolare “Sono le 21.17, interrompiamo le trasmissioni per una notizia che ci è appena arrivata: Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, due giovani di 19 anni, sono stati uccisi questa sera in via Macinelli, dietro il Centro Sociale Leoncavallo, dove doveva tenersi un concerto blues e i due stavano andando a questo concerto. Sono stati inseguiti da 3 individui e uccisi a colpi di pistola. I loro corpi sono ancora per terra.”
Ora non devono più inseguire nulla e nessuno: quelle due vite si spengono sotto i colpi di otto proiettili Winchester. Un’esecuzione spietata, senza tentennamenti. I corpi di Fausto e Lorenzo, da tutti chiamato Iaio, si accasciano a terra.
La via improvvisamente si rianima, le manopole dei televisori saltano dal primo al secondo canale, le pietanze vengono abbandonate sui piatti a raffreddarsi nelle tavole apparecchiate, c’è qualcosa di più importante da vedere: alle 21,30 via Mancinelli brulica di gente. La strada è satura di curiosi, i marciapiedi traboccano di presenze stipate, la metropolitana porta gente da tutta la città. Un lenzuolo bianco copre il corpo di Iaio, mentre Fausto agonizzante è sull’ambulanza. Morirà prima dell’arrivo in ospedale. Il capo di Gabinetto della Questura Bessone parla con alcuni cronisti, azzarda l’ipotesi di un regolamento di conti, una rappresaglia fra gruppi legati al traffico di stupefacenti. Arriva l’alba ma nessuno dormirà quella notte: i due corpi sul marciapiede resteranno lì, immobili come una fotografia, davanti agli occhi di tutti. E anche quando la gente andrà a dormire quell’immagine rimarrà impressa sotto le palpebre chiuse.
Cinque giorni dopo, a Roma, una telefonata anonima all’ANSA dà indicazioni per il ritrovamento di un volantino depositato in una cabina telefonica. E’ siglato Esercito Nazionale Rivoluzionari (NAR: I Nuclei Armati Rivoluzionari organizzazione terroristica italiana d’ispirazione neofascista). – Abbiamo vendicato i camerati Sergio Ramelli e Franco Anselmi. –
Le indagini iniziano serrate, proseguono a singhiozzo e, tassello dopo tassello, interrogatorio dopo interrogatorio, si delinea una trama del delitto a malapena credibile: una pista che chiama in causa i Nuclei Armati Rivoluzionari, alcune cellule di connessione tra malavita organizzata e neofascismo e la delinquenza ordinaria. Anche se poi la rosa di sospettati si chiude intorno a 3 nomi: Massimo Carminati, Claudio Bracci e Mauro Corsi.
Sono gli anni di piombo, Aldo Moro è in mano ai terroristi. Il clima che ha preceduto il rapimento è quello che favorisce lo stanziamento di brigatisti all’interno del tessuto sociale. E infatti sono molti gli appartamenti nella zona tra Casoretto e Lambrate utilizzati dai militanti delle Brigate Rosse. Ce n’è uno in particolare, in via Montenevoso 8, dove vengono trovate le carte di Aldo Moro. La famiglia Tinelli abita al primo piano di via Montenevoso 9, circa 10 mt in linea d’aria separano il balcone di Fausto da quello dell’appartamento dei brigatisti. La signora Danila Tinelli racconterà del figlio e delle sue ore trascorse a leggere libri in camera. Perennemente con le ante della finestra aperte. Rivela anche della mania del ragazzo, negli ultimi mesi, di registrare chiuso in camera sua decine di bobine con un vecchio Grundig. Il giorno del funerale, mentre la famiglia di Fausto si trova a Trento per la tumulazione della bara del figlio, la vicina di casa sente dei rumori nell’appartamento di fronte. Incuriosita poggia l’occhio sullo spioncino e vede alcuni uomini aprire la porta, senza forzarla, ed entrare in casa. Al ritorno la famiglia Tinelli trova tutto in ordine e non manca nulla: solo le bobine delle registrazioni.
Fausto è stato ucciso perché da quella finestra aveva visto qualcosa che non doveva vedere?
Fausto e Iaio, nella loro lotta contro il mondo dei trafficanti di droga, avevano forse incrociato qualcosa di molto più grosso del piccolo spaccio milanese?
Forse quello è stato un omicidio politico. Forse quei due ragazzi erano un simbolo. Forse sulla loro pelle si era catalizzato un mix di ingredienti sconvolgenti: malavita milanese che è fonte di sovvenzione e di approvvigionamento di armi per le organizzazioni terroristiche di destra, trafficanti, fascisti, la strategia della tensione che, con l’assassinio a sangue freddo di due ragazzi, a due giorni dal sequestro Moro, sapeva benissimo quali meccanismi perversi avrebbe innescato. E, non ultima, l’ombra lunga dei servizi segreti.
Il fascicolo dell’omicidio resterà, a riempirsi di polvere, per ventuno anni su una scrivania. Finché il 24 settembre 1999 verrà chiesta l’archiviazione del caso in quanto “non sono state trovate sufficienti prove a carico degli indagati”. Qualcuno ha preferito mettere la parola fine all’inchiesta su Fausto e Iaio. Scegliendo volutamente di non squarciare con la giustizia quello strano silenzio di morte
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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