Con il fallimento dell’attacco americano alla Baia dei Porci, venne svelata, infine, la gigantesca sceneggiata ordita dalla CIA per rovesciare il governo cubano di Fidel Castro. Il film di questa grottesca quanto tragica sceneggiata appare surreale, che neppure la fervida fantasia del più estremista tra i complottisti avrebbe potuto immaginare. Invece è tutto vero. La Cia decise dunque di rovesciare il regime rivoluzionario di Castro appena insediato. L’operazione, decisa ai tempi del presidente Eisenhower, si ritrovò a diventare operativa ai tempi di JF Kennedy, con l’estrema riluttanza di quest’ultimo. Fidel Castro, infatti, aveva nazionalizzato le raffinerie di petrolio americano e chiuso banche, casinò e alberghi americani, e rappresentava un esempio rischioso per il resto del Sudamerica, anche per la politica di riforme sociali e agricole che stava attuando. Per fare questo, l’intelligence americana aveva pensato intanto di destabilizzare il paese dall’interno, con attentati e infiltrazioni varie, in modo da creare malcontento, disordine e insicurezza nella popolazione; e poi di reclutare un corpo da sbarco di esuli cubani, per lo più mercenari mescolati con ricercati per delitti comuni, il tutto integrato dagli agenti americani della Cia. Il comando americano responsabile dell’operazione era ben collaudato ed affiatato, essendo pressappoco lo stesso che aveva avuto buon esito con il colpo di stato in Guatemala. Furono così addestrati ed equipaggiati circa 1500 soldati forniti di una flottiglia da sbarco, con un corpo speciale di cecchini della Cia che sarebbe dovuto intervenire a ruota con omicidi mirati. Nel frattempo, però, i rumors circa il possibile attacco arrivarono a Cuba, che ebbe così tutto il tempo di approntare le difesa. L’attacco fu preceduto, il 15 aprile, da un bombardamento di aerei americani dipinti con le insegne posticce cubane, che avrebbero dovuto distruggere preventivamente le difese dell’isola e la flotta aerea cubana. La sceneggiata prevedeva, inizialmente, un finto disertore cubano, un pilota d’aereo che sarebbe dovuto atterrare a Miami ed essere provvidamente intervistato dalla stampa, per raccontare un falso ammutinamento dell’aviazione cubana. Si voleva dimostrare che l’attacco era opera esclusiva di esuli cubani, i quali si sarebbero dovuti unire con le forze interne sollevate per l’occasione. Si sarebbe messo in piedi un governo raccogliticcio di esuli cubani, i quali avrebbero chiesto aiuto agli Usa. A quel punto, a causa della situazione di caos e disordine alle porte di casa, sarebbe intervenuto l’esercito americano a ristabilire la pace, la sicurezza e l’ordine. Ma quando il finto disertore atterrò a Miami, trovò un pilota americano che aveva dovuto ripiegare per un atterraggio di fortuna, oltre ad un vero disertore, fuggito da Cuba a titolo individuale. I tre, con i loro aerei più o meno taroccati nelle insegne, diedero tre versioni diverse, e fu così che emerse chiaramente la patacca americana. L’ambasciatore americano all’Onu negò strenuamente l’evidenza, fino a quando non fu chiaro quello che, nel linguaggio democratico internazionale, è solito definirsi come una colossale figura di merda. Kennedy, opportunamente, interruppe i bombardamenti, mentre Castro denunciava gli Usa alle Nazioni Unite. I cubani, ormai, sapevano che gli americani avrebbero attaccato presto, ragion per cui rinforzarono le difese ovunque. La flottiglia da sbarco, il 17 aprile, partì dal Nicaragua, paese del fedele alleato americano Somoza, colui che nelle elezioni del suo paese regolarmente prendeva il 100% dei voti, perché chi provava a votare contro veniva sistematicamente ucciso. Un tipino tranquillo, insomma, l’amico degli americani. Accadde, però, che gli uomini rana della Cia, inviati per indicare i luoghi dell’operazione, furono scoperti. Fu dato l’allarme. Solo una volta sbarcato, il contingente da sbarco si accorse che ad accoglierli c’era l’esercito cubano. I caccia cubani, scampati alla distruzione del bombardamento americano perché opportunamente nascosti e scambiati con aerei finti, si alzarono in volo. Si scatenò l’inferno sopra le navi di appoggio alla flottiglia da sbarco, quelle con i viveri e le munizioni, che presto affondarono, lasciando gli uomini sbarcati per combattere, privi di viveri e munizioni. Dal Nicaragua partirono gli aerei americani, con le insegne cancellate, in difesa dello sbarco ma, a causa del fuso orario diverso di un’ora, arrivarono in ritardo all’appuntamento con i bombardieri americani camuffati da cubani, che si videro così costretti ad operare da soli. Ne furono abbattuti quattro su otto. Una disfatta. Nel frattempo, il contingente di tiratori scelti della Cia, che aveva il compito di assassinare i governanti cubani, fu fermato, non aveva più senso proseguire. Gli uomini del contingente sbarcato, stretto nella morsa dei miliziani cubani, vennero catturati tutti, al netto di un centinaio di morti periti nello scontro. Nel frattempo Krusciov dalla Russia inveiva, incazzato come una biscia, minacciando fuoco e fiamme, e l’intero mondo assisteva attonito alla gigantesca messinscena ordita dagli americani. Kennedy si assunse la responsabilità di non proseguire oltre con le ostilità, nonostante le pressioni dei falchi per invadere ugualmente Cuba gettando infine la maschera. In realtà è verosimile che, con il pretesto dell’operazione, tra Kennedy e lo stato maggiore della Cia ci fu uno scontro fino alla resa dei conti. Infatti Kennedy decapitò il vertice dei servizi segreti americani, a causa del fallimento dell’operazione, alla quale, in verità, non aveva mai creduto veramente. I soldati del contingente americano furono rispediti in patria in cambio di medicine e cibo per bambini. La successiva “crisi dei missili” dell’anno successivo, pose il mondo sull’orlo della catastrofe, ma sia Kennedy che Krusciov, per nostra fortuna, riuscirono a tenere a bada i falchi dei rispettivi paesi, pronti all’escalation militare. Com’è noto, Kennedy fu assassinato e Krusciov destituito, entrambi per motivi, verosimilmente, legati anche a quei fatti.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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