Oggi ricorre il sessantesimo anniversario della tragedia di Marcinelle, quando in una miniera del Belgio perirono oltre 200 minatori italiani. Ma ricorre anche l’anniversario di un altro avvenimento che ci fa comprendere quanto l’Europa non sia altro che una ruota che gira. L’8 agosto del 1991, esattamente 25 anni fa, l’Italia intera, nell’afoso agosto di quell’anno, restò senza parole, impressionata dalla visione di una nave, la Vlora, carica all’inverosimile di profughi albanesi, si parla addirittura di 20 mila, partita dal porto di Durazzo e sbarcata, con quel carico di umanità pressata ma piena di speranza, nel porto di Bari. Una situazione d’emergenza alla quale il paese non era preparato, anche per via del generale agosto e delle ferie di tanti rappresentanti delle istituzioni, e che non si trasformò in tragedia anche per la solidarietà dei cittadini di Bari che accorsero nello stadio ove erano stati ricoverati i profughi con gli aiuti d’emergenza e i primi soccorsi. Come racconta uno dei testimoni di quella traversata, il famoso ballerino, ora naturalizzato italiano, Kledi Kladiu, dopo 50 anni di regime, l’Albania si ritrovò improvvisamente libera, con un enorme bisogno di una vita nuova, di obbiettivi e speranze diverse. La maggior parte di quelle persone furono riportate in Albania, proprio perché, essendo ormai considerata democratica, non valeva per loro lo status di profughi politici. In realtà in Albania la situazione stava diventando esplosiva, per via del malgoverno della fase di transizione verso il nuovo sistema economico. In particolare le banche si ritrovarono in difficoltà e i risparmiatori ne pagarono le conseguenze. Iniziarono le rivolte che gettarono il paese nell’anarchia, con bande di predoni armate fino ai denti ad imperversare, poi sedate da un contingente internazionale, con guida italiana, che riportò l’ordine in paese disastrato. Negli anni ’50 il Belgio, a corto di manodopera, aveva firmato un accordo con l’Italia, dove la crisi dell’agricoltura aveva provocato un avanzo di braccianti, per l’invio di lavoratori. Le condizioni di lavoro erano quelle tipiche dell’epoca, ovvero durissime. Negli anni ’90 l’Albania si ritrovò ad affrontare una crisi economica e sociale senza precedenti. Gli albanesi guardarono all’Italia, paese con il quale condivideva secolari rapporti, si pensi agli italiani di origine albanese stanziati da secoli in diversi paesi del meridione, come il luogo della speranza e della propria crescita individuale. L’afflusso degli albanesi, in quegli anni, in Italia, provocò fenomeni di disprezzo e razzismo, occorre dire in parte mitigata dalla presenza, nella televisione italiana, di diversi ballerini albanesi come Kledi, provenienti dalle scuole di ballo di quel paese che vantava una grande tradizione. Altri tempi, racconta Kledi. All’epoca la gente era meno prevenuta, c’era più curiosità di comprendere, di capire. Oggi non è più così. Oggi un propaganda di odio e ignoranza ha ingenerato paura e invidia sociale nei confronti dell’immigrato. Kledi, ora ambasciatore Unicef, è deciso a proseguire nella sua opera per la pacifica e fruttuosa convivenza tra i due popoli, ad iniziare con la fratellanza tra Bari e Durazzo, per proseguire con la condivisione di tradizioni e cultura. Un mare divide l’Albania con l’Italia, ma ciò non è sufficiente a impedirne l’amicizia. Ovvero, tutto quello che nell’Italia di oggi si definirebbe, con un termine alquanto abusato, “buonismo”. Eppure, guardando gli occhi di questo giovane di successo, diventato ballerino grazie allo studio e all’esercizio indefesso, che ha sofferto la sete, bevendo acqua salata, in quella pazzesca traversata, a me viene da pensare che questo buonismo, alla fine, non esiste proprio. Secondo me esiste la bontà e basta, quando c’è.
PS. Oggi l’Albania è il paese d’Europa, insieme alla Polonia, con il più alto indice di crescita economica.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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