Dopo l’attentato alle Torri gemelle, a detta di molti osservatori siamo entrati in una fase della storia dove le guerre e i contrasti tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo o sottosviluppati sono spesso regolati da organizzazioni terroristiche. L’aspetto più inquietante di questa nuova guerra è costituito dall’invisibilità dei nuovi nemici, elemento che ha gettato la maggior parte delle persone nel panico più assoluto. Ad un’attenta analisi del fenomeno, però, è possibile isolare alcuni elementi certi che possano fornire risposte più adeguate verso una risoluzione delle problematiche connesse con il terrorismo stesso. Prendiamo l’attentato di ieri all’aeroporto di Istanbul, in cui tre kamikaze prima di farsi saltare in aria hanno aperto il fuoco sulla folla, provocando finora 42 morti e riportando l’attenzione di tutti sul problema ISIS, fenomeno, anch’esso, che, al di là della gravità che indubbiamente comporta, è stato spesso confinato sui binari dell’allarmismo generico e farcito di inesattezze frutto più di luoghi comuni che di un’analisi scientifica. A questo proposito aiuta moltissimo la lettura del libro di Alessandro Orsini “I terroristi più fortunati del mondo e tutto ciò che è stato fatto per favorirli”, che ho letto e che espongo parzialmente in questa breve analisi dell’attuale situazione concernente lo stato islamico in forma di domande e risposte, nel tentativo di stabilire una realtà oggettiva su cui riflettere per poi affrontare un allarme dal quale è possibile difendersi soltanto se si conosce l’effettiva pericolosità delle armi usate dal nemico.
Se i terroristi colpiscono ormai quasi unicamente gli aeroporti, allora è sufficiente blindare gli scali per evitare qualsiasi attacco? No, non sarebbe sufficiente, perché così facendo si arretrerebbe soltanto il raggio d’azione dei kamikaze che andrebbero a colpire altri obiettivi civili, in ogni caso meno sorvegliati di un aeroporto stesso. L’unica maniera rimasta per bloccare la manovalanza dello stato islamico costituita dai terroristi kamikaze è quella di vietare gli arrivi dai paesi coinvolti nella guerra? No, anche perché i recenti attentati hanno dimostrato che essi sono compiuti dai figli degli emigrati regolari, a volte addirittura integrati nelle società civili dei vari stati europei. In ogni caso, le modalità d’attacco sempre più disperate dimostrerebbero un assottigliamento delle schiere dei terroristi disposti a farsi saltare in aria per le idee dell’ISIS, che ne ottimizzerebbe così l’effetto distruttivo. In patria, e in Europa, se l’ISIS vi sbarcasse in un futuro prossimo come è nelle sue frequenti minacce, l’ISIS rappresenterebbe una forza militare irresistibile? No, per niente, e osservando i flussi relativi agli attentati e alle vittime degli attacchi terroristici negli ultimi due anni si possono osservare diversi fenomeni che vanno in controtendenza con molte delle leggende fiorite parallelamente nella fantasia popolare. Lo dimostrano gli smacchi passati contro i guerriglieri curdi o siriani, o le più recenti vittorie della coalizione anti-ISIS a Sirte, dove è stato sufficiente un cannoneggiamento per far fuggire a gambe levate i miliziani, o a Falluja, dove nell’ultimo raid sono stati uccisi 250 combattenti. Ora ai miliziani è stato sottratto metà del territorio da loro controllato prima dell’inizio dei combattimenti in Iraq e un quarto in Siria, e rimangono in mano loro le sole roccaforti di Mosul e Raqqa, città che potrebbero essere facilmente sottratte in pochi giorni agli occupanti, se Usa e Russia non avessero congelato la situazione in attesa di un serio piano di spartizione del territorio. È sufficiente sconfiggere l’ISIS nel suo territorio per neutralizzarlo? No, e questo è purtroppo l’unico aspetto che non lascia molte speranze per il futuro. Lo dimostrerebbero le analisi condotte da Alessandro Orsini sulle attività delle organizzazioni terroristiche islamiche, da Boko Haram in Nigeria ad Al-Shabaab in Somalia, allo stesso ISIS. Quando pesantemente colpite nel proprio territorio, direttamente da loro controllato, tali formazioni infatti hanno spostato gli attentati all’estero, e lo dimostrerebbe anche questo attentato in Turchia. Bisogna isolare la Turchia amica dell’ISIS? Sarebbe stupido, almeno sotto questo aspetto. Questa è una delle leggende più diffuse. In realtà la Turchia è stata “amica” dell’ISIS soltanto dall’estate del 2014 alla successiva per via della variabile curda ma ora è attivamente impegnata contro l’organizzazione terroristica, e anche questo è ampiamente dimostrato dall’attentato di Istanbul. Tali voci sono artatamente diffuse da Putin, il quale peraltro sta trattando una ricomposizione dei contrasti con Ankara. L’Italia deve temere terribili attentati da parte dell’ISIS? Per ora no, perché il nostro paese non si è mai direttamente impegnato contro le truppe dello stato islamico né ha mai ucciso un suo rappresentante. Gli attentati contro Francia, Belgio e Turchia lo dimostrerebbero. Ma mai c’è stata una vera minaccia contro l’Italia in questi due anni, l’Expo e il Giubileo sono filati lisci nonostante i timori, e il resto è solo propaganda. Certo, se l’Italia intervenisse in Libia le cose cambierebbero, anche perché non appoggiare gli USA in questo probabile nuovo intervento significherebbe, secondo i dettami della politica estera americana, diventarne nemici. Ma qui entriamo nel campo dei veri interventi da adottare per evitare l’inasprimento di un conflitto che nasce soprattutto dall’odio per le bombe e dalla rabbia per una superiorità esibita dai paesi occidentali nei confronti degli abitanti di una civiltà ritenuta inferiore. E questa è tutta un’altra storia.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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