[Sola come un cane, un indirizzo, un medico. Forse quello giusto dopo tanti che non avevano saputo che farmi un paternalistico discorso sulle mie responsabilità, sulle mie colpe, per nascondere in realtà la paura di compromettersi con una minorenne. Questa volta alla solita domanda risposi: 21 anni e quello allora mi rispose, quasi infastidito, che quelle cose lui non le faceva, ma conosceva una tale. Presi appuntamento con la ‘tale’ per 20.000 lire. Da uno sportello della credenza tirò fuori l’attrezzatura: ferro da calza, sonda, speculum. Non vidi altro perché non volevo vedere. – Non sentirai molto male, dato che sei appena al secondo mese – diceva. Invece io ero quasi di quattro mesi, ma non glielo dissi per paura che si rifiutasse di intervenire. Cominciarono le doglie il mattino dopo alle sei, alle nove non potevo più alzarmi per andare in bagno a cambiarmi perché lasciavo la scia di sangue per terra e mia madre avrebbe potuto scoprire tutto. Dolore, sangue, feto, placenta, terrore. Finalmente alla sera finì tutto.] Basta tacere. Testimonianze di donne su parto, aborto, gravidanza e maternità, «Lotta Femminista» – Ferrara, 1973.
Il 17 maggio del 1981 il popolo italiano veniva chiamato a pronunciarsi sull’abrogazione della legge per l’interruzione volontaria di gravidanza. I sì furono l’11,6% e i no l’88,4%: l’aborto, anche dopo il referendum, restava un diritto.
Un referendum che sancisce il definitivo annacquarsi della linfa che nutriva i milioni di aborti clandestini in Italia quantificati dall’Unesco nei primi anni ‘70. Medici improvvisati che operavano nei sottoscala, privi di strumenti sterili, infermiere estemporanee che, con rudimentali nozioni di ginecologia, cavavano via embrioni da uteri disperati, trasformando interventi artigianali in un’immane imprudenza. E non era tanto quella di infrangere la legge che, prima del ’78, puniva con la reclusione chiunque provocasse un’interruzione di gravidanza, quanto quella di causare la morte della donna che ricorreva alla prativa abortiva.
Un referendum il cui risultato consacra lo sgretolarsi di quell’organizzazione di clandestinità che apportava milioni di lire nelle tasche di un sistema sotterraneo diffuso capillarmente per aggirare la legge. Di interminabili viaggi compiuti dalle donne per mettersi nelle mani di chi con la disperazione di quelle donne ha costruito la propria ricchezza.
Un referendum con un esito netto come pochi e che decreta, una volta per tutte, una condizione irrinunciabile: che sia la donna a decidere per sé e non lo Stato.
Ma, si sa, le grandi conquiste femminili non sono immutabili e nel tempo vengono puntualmente sottoposte a meccanismi di erosione. Una delle tante stramberie di un paese che detta le norme e poi ne scorda le politiche di attuazione racconta un’evoluzione contrastante: dall’entrata in vigore della 194 gli aborti sono sensibilmente diminuiti, ma sono aumentati i medici obiettori. Assistiamo a uno spettacolo nel quale i tentacoli di una legge che funziona rischiano di strangolare l’applicazione della stessa legge. Ovvero quando le sanzioni da parte delle istituzioni si trasformano passando da legali a morali, ma restano lì.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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