Oggi la rubrica della Macchina del Tempo fa un salto, che non coincide in maniera lineare col calendario, per raccontare che esiste un solco temporale che separa una brava persona da un delinquente. Una data precisa in cui dr. Jekyll si trasforma per sempre in Mr. Hyde. Un momento ben definito dopo il quale la vita di un individuo va irrimediabilmente a puttane, suo malgrado. Per Enzo Tortora quella data è il 17 giugno del 1983, quando i poliziotti fanno irruzione alle 4.15 del mattino nella sua camera all’hotel Plaza e lo arrestano con un’accusa opprimente: associazione a delinquere di stampo camorristico finalizzata al traffico d’armi e di stupefacenti.
In quella che poi sarà battezzata Operazione Portobello verranno emessi altri 850 mandati di cattura, tra cui moltissimi casi di omonimia e di errori di persona.
Cominciamo col sottolineare che Enzo Tortora era una persona a posto, sotto l’aspetto sociale e morale, ma questo verrà decretato ben 4 anni dopo, quando la cassazione confermerà l’assoluzione in appello. Nel frattempo 7 mesi li trascorrerà in carcere, i restanti 3 anni e 5 mesi agli arresti domiciliari perché, nonostante fosse stato eletto parlamentare europeo fra i Radicali, Tortora rifiuterà di ricorrere all’immunità, confidando in un processo che avrebbe ripristinato la verità.
La storia la conosciamo tutti, sappiamo che quelle manette furono strette attorno ai polsi del presentatore perché la Polizia aveva sentito due pentiti: Giovanni Pandico, braccio destro di Raffaele Cutolo, detto «’o pazzo» e Pasquale Barra detto «’o animale».
Sono giorni in cui ci muoviamo nel perimetro di una giustizia sonnecchiante, che annaspa nella ricostruzione del caso Cirillo, nella silenziosa guerra fra cutoliani e anticutoliani e i cui effetti sono quotidiane tracce di sangue versate per i loro regolamenti di conti. Una giustizia che deve dare cenni di vita, un segnale forte possibilmente. Quel segnale arriva col nome di venerdì nero della camorra durante il quale quelli che poi verranno definiti “pentiti a orologeria” lanciano come sputi i loro j’accuse, per sviare l’attenzione pubblica. Segue una valanga di arresti, fra cui quello di Tortora, che rappresenta una delle pagine più ignobili e vergognose della magistratura italiana.
Si scoprirà in seguito che Tortora era finito nel tritacarne a causa del suo nome appuntato in un taccuino e recuperato nella casa di un camorrista. Un nome scarabocchiato a penna e un numero telefonico sufficienti a demolire la vita di un uomo per bene. Successivamente salterà fuori che quel nome non era “Tortora”, ma “Tortona” e che il numero di telefono non coincideva con quello del presentatore.
Il 17 giugno 1987 Enzo Tortora viene assolto con formula piena dalla Corte di Cassazione. Il 18 maggio 1988 muore stroncato da un tumore. I magistrati di quell’inchiesta e i due pm Lucio di Pietro e Felice di Persia hanno fatto tutti carriera.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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