Questo ragazzo magro e biondo seduto sul gradone del monumento sta accoppando a colpi di flauto la Ninna Nanna di Brahms. Sa solo quella e ripete otto note all’infinito. Non cessa neppure quando lei, più grande, tenera tenera affondata in un giaccone morbido, gli allunga una carezza. Otto note. Non ho mai sentito musica più bella, però. Li guardo nella piazza quasi vuota del pomeriggio pioggerellino. E poi guardo più giù e vedo un barbone che fruga tra i rifiuti del mercato della frutta. Giovane, vecchio? E chi la sa l’età dei barboni? Una guardia municipale lo affianca minacciosa. E’ preoccupata che se da Palazzo Farnese esce l’ambassadeur possa fare labbruccio a vedere questo degrado. Un fruttivendolo che smonta il banco lo chiama prima che il vigile lo cacci via. -A maschio, viè qua! E gli allunga un bustone di frutta buona. Poi fa l’occhiolino a quello dell’altro banco e al barbone arriva anche una focacciona che ci vuole il porto d’armi. Mi guardo la scena e poi guardo ancora il ragazzo biondo e mi dico -Che bella gente. Ma chi dice che la mia Italia fa schifo? -Che, se’ frocio? Me lo sento improvviso alle spalle. Mi giro ed è lui. Scuro di bronzo vecchio, è sceso dal piedistallo e in piedi sul lastricato è un gigante. Si abbassa il cappuccio domenicano che scende con uno stridore di metallo. Sotto c’è il vuoto. Lo scultore Ferrari non gli ha fatto i capelli e neppure il cranio. Ha la faccia e basta. -Allora, se’ frocio? Vede che se sì io non ciò gnente contro li froci. -Neanche io. Ma perché dovrei essere frocio? -Como affissavi er regazzino. -Ma… mi affascina la musica. Mi affascina tutto qui, oggi, quasi a sera. Mi sembra un sogno. Anche lei è un sogno. -Ma quale sogno. A vecchio scemo! Io so’ vero. Che ce fai a Campo de’ Fiori? -Sono qui per lei. Oggi è l’anniversario della sua morte e sono venuto a salutarla. -De la mi’ morte? Famme tocca’. Si fruga con difficoltà sotto la pesante tonaca -Indove state, cojoni mii? -C’è poco da toccarsi. Lei è morto bruciato il 17 febbraio del 1600. -Ma io nel 1600 manco ero nato. Io so’ nato nel 1889. -Ma lei non è Giordano Bruno? -Io so er monumento a Giordano Bruno. -Ah, ecco perché non parla in campano del Cinquecento. O in latino. -Ma qua’ latino! Io so’ romano de Roma. -E quindi poco fa, quando abbiamo fatto sotto di lei la manifestazione per i diritti civili, a lei non gliene fregava niente. -E perché no? Voi dicevate “Viva Giordano Bruno” ma era come se lo dicevate a me. Sa’, anch’io ne ho passate come quel frate antico. Che storia, anche quella del monumento. Nel 1849, con la Repubblica Romana di Mazzini e Garibaldi, avevano fatto il primo monumento a Giordano Bruno proprio lì dove avevano acceso il rogo. Ma il santo Pio IX, risalito sul trono, lo aveva distrutto e poi già che c’era aveva anche ammazzato un po’ di patrioti. Dopo la presa di Roma del 1870, c’era chi lo voleva rifare subito, il monumento, e nello stesso posto. Ma i preti, quelli peggiori, gli eredi dell’Inquisizione, e i loro servi si annidano dappertutto, anche nel municipio, nonostante libera Chiesa in libero Stato, ed erano riusciti a impedirlo sino al 1889, quando finalmente l’artista Ettore Ferrari versò nello stampo il bronzo fuso e venne fuori quel signore con cui parlo ora. Gli racconto tutto questo, perché mi sembra un po’ ignorante. -E se non si fossero messi in mezzo, già da anni prima, leggende pesanti come Victor Hugo o il grande anarchico Michail Bakunin lei ora non sarebbe qui. -Nù sai gnente, fa’ er professorino e nù sai gnente. La lotta vera l’ano fatta gli studenti universitari. ‘Gni giorno a frotte erano qui a fa’ manifestazioni. Finacché il Governo nun ha mannato affanculo er sindeco e er papa e m’a messo qui a Campo de’ Fiori. E, senti, tu che sa’ tutto. Che vene a dì sta scritta? Mi indica l’iscrizione: “A Bruno. Il secolo da lui divinato qui dove il rogo arse”. -Penso voglia dire che lui aveva profetizzato che ci sarebbe stato un “secolo” – cioè più che nel senso di tempo, in quello di mondo secolare, laico – finalmente libero dalla tirannia dei clericali. Quel mondo che ha dedicato a Bruno il monumento, cioè lei. -E secondo te ha vinto o ha perso, quel poraccio? Ecco, mi ha messo in crisi. E che cosa ne so io se Giordano Bruno ha vinto o ha perso? Ci penso un bel po’. Penso alle folle trascinate da Adinolfi, penso a Radiomaria che invade anche le frequenze della sonda Beagle 2 su Marte, penso alle mie due amiche di Milano a cui io, mia moglie e mie figlie vogliamo tanto bene, che si sono sposate tra loro in Spagna e hanno quattro figli naturali dell’una e dell’altra. E ciascuna i bimbi la chiamano mamma. Il più piccolo l’altra estate ha pensato per un attimo di essersi perso sulla spiaggetta, mentre in realtà le sue mamme, i nonni, zie e amici a frotte lo tenevano bene d’occhio. Ma lui con un lacrimone mezzo fuori e mezzo dentro si è rivolto a una signora e le ha detto: “Sa, signora, ho due mamme e ora non ne trovo più neanche una”. Però questa famiglia magnifica deve chiedere il permesso a Giovanardi perché tutti i quattro figli siano legittimamente di entrambe le madri . O ai fascisti e ai leghisti che vogliono mandare al rogo i libri della casa editrice delle mie amiche. Penso a tutte queste cose e mi volgo verso la statua. E sto per risponderle che Bruno ha perso. Poi penso a quanto sia ancora viva come l’amore quella sua eresia. Come quel rogo sia il crogiuolo dove si è formato il meglio della nostra cultura occidentale. Penso al terrore che doveva aver provato nell’ucciderlo, questa Chiesa chiusa nella conservazione del suo potere e in eterna e sanguinosa contraddizione con quel germoglio sempre vivo del frate di Nola che parla di libertà e di una nuova concezione dell’uomo, di una divinità essenza interiore dell’uomo infinito e dell’universo infinito. Quanto sia ancora vero il grande paradosso con cui fulminò i suoi carnefici prima di salire sul rogo: “E’ forse maggiore la paura con cui voi pronunciate la sentenza di quella che provo io nel riceverla”. Quanto avrebbero quei carnefici preferito l’abiura a quella condanna a morte che condanna loro in eterno. Anche ora quella Chiesa ha più paura nel condannare le mie due amiche sposate tra loro che le mie amiche nel ricevere questa condanna. Ne sono certo. E infine guardo il ragazzo che suona il flauto. E guardo il fruttarolo che sorridendo mette una mano sulla spalla del barbone. E dico alla statua. -Ha vinto. Giordano Bruno ha vinto.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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