“E’ la cosa più orribile che abbia visto in vita mia”. Se preferite, state a sentire qualche vecchia predica di Freccero o di Costanzo, fate tesoro delle esperienze di Pippo Baudo oppure bevetevi la lezione dell’associato di Scienze della Comunicazione. Ma date retta: il vero linguaggio televisivo è nato il 17 aprile del 1989, prima puntata di Blob. Alle ore 20 di quel giorno su Raitre comparve improvvisamente la scena centrale di “The Blob”, un film americano del 1958, genere horror fantascientifico, doppiato in italiano con il titolo di “Fluido mortale”, che prima di allora era noto più che altro per il debutto di Steve Mc Queen. Un essere informe venuto dallo spazio, una materia gelatinosa che assorbe e soffoca ogni essere vivente, fa irruzione in un cinema-teatro zeppo di spettatori. La scena in questione rappresenta la fuga. Bellissima inquadratura deliziosamente banale della folla terrorizzata che sciama dal locale. Che sia un B movie, cioè al risparmio, lo fa sospettare il fatto che un paio delle comparse sembrano ridacchiare e nonostante questo il regista non ha buttato via lo spezzone. Rapido campo largo sulle insegne, promettono “air conditioned”, in programma qualcosa con Bela Lugosi, quindi un horror. Il cinema nel cinema, un’altra adorabile banalità. L’inquadratura si stringe su un poliziotto che esce stravolto e asciugandosi il viso riferisce a un collega: “E’ la cosa più orribile che abbia visto in vita mia”. E immediatamente parte il montaggio, un campionario logico e conseguente del trash di varietà, giornalismo, intrattenimento, politica, musica, cinema e cultura varia proposto il giorno prima da ogni tv pubblica e privata italiana. “Blob, di tutto di più” e i critici cinematografici Enrico Ghezzi e Marco Giusti, oltre al dirigente di Raitre Angelo Guglielmi, entrano nell’olimpo degli autori televisivi. In quasi trent’anni è cambiato poco. Magari più politica che spettacolo, forse perché con il passare del tempo le due categorie si sono sempre più sovrapposte e Blob lo ha colto per primo. E forse anche un montaggio più raffinato, con un po’ meno di quegli scatti appena kitsch tra l’una e l’altra citazione tipici delle vecchie puntate. Ma la filosofia – rigidamente kantiana – di fondo resta immutata: l’esaltazione della bruttezza, l’estetica dell’immondizia, una fondamentale riscrittura per immagini della “Critica del giudizio”. La sintesi migliore è quella che ne fa lo stesso Ghezzi: “Il trionfo di piccole grandi sublimi bruttezze incerte, lontane dalla sicurezza ideologica delle grandi bellezze”. Da allora su Blob sono stati scritti molti libri e un mucchio di studenti si sono laureati con tesi su questo programma. La grande autonomia di cui ha sempre goduto, sin dalla prima puntata, ha consentito un affinamento di ogni invenzione tecnica e culturale sino all’accettazione di un vero e proprio nuovo linguaggio televisivo, addirittura entrato nel lessico famigliare (la sua, di famiglia), tanto che qui e là, in qualche telegiornale, ogni tanto a un conduttore scappa: “Ma su questa storia vi proponiamo un blob…” Il montaggio di Blob non è sapienza tecnica, quella è solo uno strumento, la penna di chi scrive. E’ una vera costruzione complessa creata dall’intelligenza, una scelta ordinata di tessere ritagliate da cinema e televisione del passato prossimo che costruisce un mosaico voluto, preordinato e dal senso compiuto. Ogni spezzone si incastra o contrasta con quelli vicini, ma alla fine della successione ti accorgi che l’insieme ha un significato logico neppure sottinteso, anzi, del tutto manifesto e popolare, come si conviene a un programma televisivo. Blob è un inno all’odi et amo. A ogni puntata distrugge la televisione eppure si fonda sull’amore impudico per la televisione. Ma gli autori, al contrario di Catullo, non si tormentano per questa contraddizione, anzi, si divertono un sacco. Il brutto, l’osceno, il banale, lo stupido vengono impietosamente denunciati in una conseguenza logica che però porta infine ad apprezzarli esteticamente: siamo questi e non illudetevi, anche voi siete questi. Il significato originario di blob, grumo o macchia, ha assunto quello più diffuso di massa informe e incalzante. La televisione che ci inghiotte e che però non è un mostro venuto dallo spazio, siamo noi stessi ad assimilarci in una fenomenale autofagia di massa. E fa anche ridere.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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