Ci sono molte elementi che si intrecciano nella storia del leader del Partito Curdo dei lavoratori, Abdullah Ocalan, che veniva arrestato sedici anni fa scatenando le proteste delle comunità curde in Europa. Ci sono le tensioni mediorientali che abbiamo, negli anni successivi, imparato a conoscere: Siria contro Turchia, Curdi contro Turchi, Turchia e Usa contro il PKK che faceva dell’indipendenza del popolo curdo la sua missione politica. Ocalan, che si trovava in Siria, venne invitato a trovare altra destinazione, con gli agenti turchi alle calcagna. Transitato in Russia, spinto a levare le tende anche da lì, raggiunse l’Italia sotto protezione informale dei greci. Nell’impossibilità di estradare Ocalan in Turchia, dove ad attenderlo vi sarebbe stata la condanna a morte, prevalse la tattica italica: temporeggiare. Fino a che si decise che per tenere buoni un po’ tutti, dai centristi del governo, agli americani e ai turchi, per i quali Ocalan non era altro che un terrorista, il leader dovesse “scegliersi” un paese di suo gradimento per un esilio più o meno volontario. Nella via che lo portava in Kenya, fu intercettato dai Turchi e arrestato. Il caso Ocalan fu una delle prime magagne del governo D’Alema, succeduto alla caduta di Prodi del 1998. Ricordo la strada che facevo ogni mattina per raggiungere la scuola magistrale di Via Manno e quella scritta su un muro in via Pasquale Paoli: Ocalan libero. La scrittrice napoletana Valeria Parrella, nel suo romanzo “Lettera di dimissioni”, ripercorre decenni di vita della protagonista Clelia e dell’Italia, decidendo di dedicare un capitolo al caso Ocalan e alle pressioni degli attivisti affinché il politico curdo ottenesse asilo politico nel nostro paese. Ocalan, ancora detenuto in Turchia per effetto dell’abolizione della pena di morte, sconta il suo ergastolo nella prigione di Imrali. Ogni tanto qualche notizia su di lui fa capolino nei giornali. Una delle più importanti è quella del 2006, riportante la richiesta di una tregua tra il PKK e il governo turco. A ben vedere, i rossetti delle guerrigliere curde però, fanno oggi più notizia dei baffi di Ocalan. Tanto che alle volte sfugge una elemento del mosaico che pare non essere cambiato: per gli Usa il PKK è ancora nella lista nera delle organizzazioni terroristiche; insieme all’ISIS, che però, probabilmente, ringrazia.
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