Salt Lake City, Olimpiadi invernali 2002. È il giorno della finale dello short track, spettacolare specialità del pattinaggio su ghiaccio. Gli atleti sfrecciano su una pista molto piccola e senza corsie con l’obiettivo di tagliare il traguardo per primi. Una corsa sfrenata e costellata di insidie.
Ai nastri di partenza, nella finale dei 1000 metri, c’è una sorpresa. Insieme ai mostri sacri della specialità, spunta un rappresentante dell’Australia. Steven Bradbury, 28 anni, è a fine carriera, sarà la sua ultima Olimpiade. Sa bene di non essere all’altezza degli avversari. La finale è già un clamoroso successo, anche per il modo in cui è arrivata.
Bradbury, in realtà, sarebbe dovuto uscire dalla competizione già ai quarti di finale. E infatti, al giro finale, era ovviamente ultimo. Invece, negli ultimi metri, il giapponese e il canadese che lo precedevano si erano toccati ed erano caduti. Lui era arrivato terzo. Comunque eliminato ma, di certo, con onore. Aveva già in mente le valigie, Steven l’australiano, quando i giudici decisero di squalificare il canadese per aver provocato la caduta. Così, era riuscito a qualificarsi per la semifinale. Per l’Australia del pattinaggio, la sua qualificazione segnava già una pagina di storia.
In semifinale, le porte erano decisamente chiuse. Gli avversari erano nettamente più veloci, la qualificazione riservata solo ai primi due. Sembrava un affare tra il canadese, il cinese, il giapponese e il coreano. Invece, anche stavolta, era stato baciato dalla fortuna, in un ultimo giro rocambolesco. Prima la caduta del coreano e poi, negli ultimissimi metri prima del traguardo, il contatto tra il cinese e il canadese. Erano rimasti in piedi lui e il giapponese. Il nipponico era stato poi squalificato per aver causato la caduta del cinese e Steven era finito addirittura primo. Un delirio.
Ed eccolo in pista, Steven Bradbury, l’australiano, quello che non ti aspetti. Deve vedersela con l’americano Apolo Ohno, con il cinese Li Jiajun, con il coreano Hyun-Soo Hahn e con il canadese Mathieu Turcotte. Speranze di vittoria? Zero. Viene infatti distaccato immediatamente. La differenza di passo tra lui e gli altri è evidente. A poche decine di metri dal traguardo dei mille metri, scoppia la bagarre. Jiajun e Ohno si toccano. Il primo scivola e va fuori pista, il secondo perde l’equilibrio e si aggancia al coreano che, a sua volta, coinvolge il canadese. Cadono tutti, come birilli, tranne uno: Steven Bradbury. Medaglia d’oro.
Steven Bradbury è diventato un’icona del fattore “C”, il simbolo vivente della fortuna.Ma la sua storia dice altro. Sembrava avviato a una brillante carriera quando, subito dopo i Giochi di Lillehammer, dove ottenne una medaglia nella staffetta, riportò un gravissimo infortunio ai mondiali di Montreal. La lama di un atleta italiano, con il quale si scontrò, gli lesionò l’arteria femorale. Perse quattro litri di sangue e rischiò la vita. Qualche anno dopo, nel 2000, subì una frattura al collo durante un allenamento. Eppure era riuscito ugualmente a presentarsi a Salt Lake City, all’appuntamento con la sua ultima Olimpiade.
Sicuri che la fortuna sia cieca?
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