La vittoria delle “foxes” era quotata 5000 a 1. Incontrare Elvis per strada, scoprire che il mostro di Loch Ness esiste sul serio, vedere Bono Vox degli U2 diventare Papa avrebbero pagato meno. Ieri sera, quando il Leicester di Ranieri ha messo il sigillo sul titolo, le agenzie di scommesse si preparavano a tirare fuori 5 milioni di sterline per quella che viene considerata la più grande sorpresa di sempre in una nazione dove si scommette praticamente su tutto.
L’impresa del Leicester entra di diritto nell’epica calcistica. La si racconta come la favola del brutto anatroccolo sul quale nessuno avrebbe puntato un cent e che invece, crescendo, diventa uno splendido cigno. Una storia che ci coinvolge, come italiani, non solo perché il condottiero del Leicester è Claudio Ranieri ma anche perché, tutto sommato, dal calcio inglese è giunta una lezione di sport. Il modo in cui, ieri sera, il Chelsea ha fronteggiato i rivali del Tottenham, diretti inseguitori del Leicester, rimontando loro due reti e regalando il trionfo a Vardy e compagni ha sancito che il football, da quelle parti, è ancora un affare pulito.
La Premier League, insomma, se la prende il galantuomo Ranieri, ex eterno sconfitto, che nel giorno del possibile trionfo se ne torna in Italia per pranzare con la mamma di 96 anni. Se la prende Jamie Vardy, uno che a volte mi ricorda tremendamente Gigi Riva e che fino a qualche anno fa lavorava in fabbrica e giocava per hobby. Se la prende Mahrez, l’algerino che scappò dal Saint Mirren, squadra scozzese che lo aveva preso in prova, perché faceva troppo freddo e raggiunse l’aeroporto con una bici presa in prestito. Se la prende Vichai Srivaddhanaprabha, che per comodità chiameremo Vichai, il presidente thailandese del Leicester, re dei duty-free King Power che probabilmente non si aspettava di far fruttare in questo modo il suo investimento nel calcio. Se la prende una città di 285.000 abitanti dove, qualche anno fa, furono ritrovati i resti di Re Riccardo III mentre costruivano un parcheggio in periferia e qualcuno pensa abbia portato fortuna alla squadra.
A me, invece, resta il sapore dell’amarcord, di uno scudetto ormai lontano, di una scommessa quotata 5000 a 1 e clamorosamente vinta. Perché io tifo Cagliari. E, nel 1970, Leicester era in Sardegna.
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