“Presidente”, sentii dire da Mario con estrema cortesia, “ha capito chi siamo?”
“Ho capito chi siete”, rispose Moro.
Queste righe sono tra le prime a riempire la seconda pagina del libro Il prigioniero, pubblicato nel 2003 e scritto a quattro mani dalla giornalista Paola Tavella e da Anna Laura Braghetti.
Anna Laura Braghetti è la donna delle BR che, come una brava casalinga, il 16 Marzo 1978 attendeva che il resto del commando facesse ritorno a casa, con lo sguardo tra il televisore e l’uscio di quell’abitazione in via Gradoli.
Comprai il libro e andai al cinema per vedere il film che Marco Bellocchio ne trasse, Buongiorno, Notte.
Avevo diciotto anni e il venticinquesimo anniversario del delitto Moro veniva ricordato con pubblicazioni sul tema BR e dintorni. Di questi libri ne lessi molti, quasi tutti. Alcuni li trovai bellissimi, come Mi dichiaro prigioniero politico di Giovanni Bianconi.
Leggendo quel testo incappai in un errore che solo a quell’età poteva tollerarsi. Le vicende di Renato Curcio e “Mara” Cagol, il passaggio delle loro vite da normali a quelle di “combattenti”, segnato da quell’abitudine di cambiarsi i nomi, le storie d’amore tra una pianificazione e l’altra, mi aveva lasciato delle immagini indulgenti e romantiche. Bianconi aveva usato lo stesso espediente per raccontare la storia di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro in A mano armata, ma per era diverso quei due erano fascisti e non me ne fregava niente che due fascisti si volessero bene tra un colpo di pistola e l’altro.
Poi acquistai Il prigioniero. Dopo tanti anni ho ripreso in mano quel libro, nascosto nello scaffale della mia libreria dietro qualche dizionario e manuali di storia. Ho riletto alcune di quelle pagine, oggi, e le sensazioni sono le stesse di tredici anni fa: troppo stridente l’ immagine di Anna Laura che descrive se stessa che da brava massaia rammenda la divisa che Prospero Gallinari indosserà per effettuare l’operazione “Fritz”, – nomignolo scelto per la frezza bianca della capigliatura di Moro- con quella del “prigioniero” rinchiuso dentro una cassa di legno forata; e cosa c’entrano spaccati di tenerezza come quello che si legge a pagina 23:
Prospero era stremato dall’ultimo turno di guardia della notte, ma non poteva andarsene a dormire senza aver accudito il presidente. Acqua tiepida, sapone, un asciugamano, l’occorrente per radersi. E poi caffè, latte, biscotti che già avevo sistemato sul vassoio (…). Moro fu sorpreso perché i biscotti erano proprio quelli che consumava anche in famiglia (…). Erano gli stessi che piacevano anche a me (…),
con l’imperturbabilità con la quale poche righe prima Anna Laura descrive le gesta dei compagni che hanno decimato la scorta in via Fani?
La storia è raccontata dall’interno, Anna Laura voleva che io, tredici anni fa, mi identificassi con lei.
Nel libro e nel film il personaggio di Anna Laura, il giorno dopo il rapimento, ascolta i discorsi della gente comune sull’autobus. Accanto a lei, due vecchiette.
“No guarda, proprio questa volta no, proprio Moro no, una così brava persona…”
Guardando quella scena, leggendo il libro, non mi sono sentita Anna Laura, ma una delle due vecchiette sul bus.
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