In un recente convegno, Alessandro Barbero ha spiegato di amare alla follia le cronache di certi autori medievali perché scrivevano senza filtri, anche quando quel che scrivevano era destinato al pubblico.
Prima dell’Inquisizione, tutti scrivevano esattamente quel che pensavano, senza avere il timore di dover rispondere delle loro esternazioni. Per esemplificare, Barbero ha raccontato di un certo religioso, di cui ora non ricordo il nome, le cui memorie fanno di frequente riferimento ad un importante vescovo cui lo scrittore faceva spesso visita. Bene, il religioso non si pone minimamente il problema di menzionare nel suo libro i figli del vescovo stesso, sarà anche che la prolificità degli ecclesiastici era, in certi periodi, molto più tollerata di oggi.
Non c’era, insomma, l’ossessione del politicamente corretto e l’ansia di dover centellinare gli aggettivi, perché come è notorio ad ogni giornalista non basta dire la verità per essere nel giusto, ma occorre anche attenersi alla terribile regola della “essenzialità dell’informazione”. Il giusto è, lo avrete capito, quel che stabilisce il giudice in un’aula di tribunale.
Però non è che bisogna tornare a mille anni fa per trovare gente che come la pensa la dice.
I giornali del periodo bellico e postbellico, per dire, sono zeppi di asserzioni che oggi nessuno azzarderebbe. Noi abbiamo il senso della misura dei placidi tempi di pace, mentre quando hai bombe che ti piovono sulla testa non è che dover rispondere di una querela ti preoccupi più di tanto: io mi sono dato questa spiegazione.
Tutto questo gran pistolotto che vi ho propinato stride con la prima regola del giornalismo, quella che impone di dare la notizia in testa. Ma serviva questa premessa per capire il mio stupore nel leggere il resoconto prodotto dal Corriere della Sera sul primo incontro dopo la liberazione dell’Europa tra Truman, Churchill e Stalin, avvenuto a Postdam il 16 luglio del 1945.
Estrapolo la parte più sensazionale del pezzo, non firmato, in cui si elencano le priorità del vertice: Poi si dovrà prendere in esame a Postdam il modo di eliminare il nazismo. Qui non si può parlare di fascismo, come i residui del fascismo in Italia: perché il nazismo, pur avendo avuto a sua disposizione solo dodici anni di lavoro, ha permeato completamente la popolazione tedesca. Non si possono eliminare i nazisti senza eliminare la maggioranza dei Tedeschi.
Se molti di noi ancora inorridiscono per le pene capitali del processo di Norimberga, iniziato quattro mesi dopo il meeting di Postdam, queste poche righe in apertura del principale quotidiano italiano chiariscono quale fosse il clima del tempo.
Da resa dei conti, politicamente scorretta.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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