Per anni, quand’ero ragazzo ma anche dopo, mi sono chiesto il significato esatto della frase “bivacco di manipoli”, pronunciata da Mussolini all’indirizzo della Camera il 16 novembre 1922, 95 anni fa (la Storia fisserà al 3 gennaio 1925 la nascita “tecnica” del regime fascista, quando il Puzzone si prese la responsabilità morale dell’omicidio di Matteotti). Il significato di “bivacco” è chiaro. I manipoli sono invece dei soldati.
Mussolini, nell’atto di chiedere la fiducia alla Camera, fece presente che avrebbe potuto invece farla occupare dalle sue milizie, lasciando che si accampassero tra i banchi. Ma cosa fu quel discorso del 16 novembre, se non la nascita di un regime? E come si era arrivati a quel pronunciamento così eversivo?
Il 28 ottobre del ’22 c’era stata la Marcia su Roma, ma già il 1 agosto Mussolini aveva minacciato l’intervento dei suoi sostenitori per mettere in riga sindacati e lavoratori, in sciopero per protestare contro i metodi dei fascisti. In realtà già nel 1920, per reazione contro l’avanzata delle sinistre, le squadracce fasciste avevano colpito giornali, sedi sindacali e di partito. Certo, le istituzioni sembravano più protette. Sembravano. Proprio la sinistra però, forte della maggioranza assoluta conquistata nel ’19, avvertiva sì il problema rappresentato da Mussolini, ma era anche divisa in modo lacerante. Di lì a poco comunisti e socialisti si sarebbero scissi, restandolo più o meno fino al 2007.
Forse è in quel confuso 1919, in quel primo anno senza guerra che mercenari, nullatenenti, reduci senza più una lira, disorientati e in cerca di risposte, cementarono il loro sodalizio attorno all’unica voce che mostrò loro di volersene curare, Mussolini appunto. Mussolini, che da quando i socialisti lo avevano sbattuto fuori da “L’Avanti!” (1914), aveva iniziato a sostituire le sue vecchie idee con altre di tipo nuovo, più adatte a convincere gli incerti, in quel clima di difficoltà che precedette e poi accompagnò la guerra: necessità dell’intervento militare, spostamento dell’interesse dai “lavoratori” a chi combatte e a chi produce, necessità di una dittatura militare.
Quindi neanche il 1919 è l’anno dell’inizio, e certamente neanche il ‘18, e magari nessun altro anno prima o dopo. Nel senso che il fascismo, come possibilità che sta nelle corde dell’italiano, non è iniziato, non è finito ma, più semplicemente, è.
E il bivacco di manipoli sta ad indicare che per spazzare via le istituzioni è sufficiente un po’ di violenza, neanche tanta, un po’, purché sorretta dall’idea che il popolo è d’accordo, che il popolo non ne può più, che il popolo ha finito la pazienza. Di violenza ne basta veramente poca, perché funziona bene anche solo l’idea della violenza, la sua evocazione, la sua rappresentazione per mezzo di esempi: una spedizione punitiva, una carica contro dei cittadini inermi, una testata, una piazza piena di rabbia.
Che il popolo è in fondo una parola, ma il lavoro sporco lo fanno sempre l’idea della violenza e la folla, sparpagliata e pronta a materializzarsi, da qualche parte, là fuori. Specialmente se nel frattempo quelli che con la violenza non c’entrano nulla, hanno smesso di fare affidamento sulle istituzioni.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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