Mia nonna mi ricordava sempre: “Io, in dote ho portato il corredo e tuo nonno le capre. Quelle aveva”. Sono cresciuto, nella mia infanzia, con la certezza che la dote fosse qualcosa di sancito e obbligatorio, pena l’impossibilità a sposarsi. Ricordo, infatti, che essendomi innamorato perdutamente di Margherita, in quinta elementare, quando le chiesi se mi volesse sposare rispose subito: “ E tu, cosa porti in dote?” Misi le mani in tasca e cacciai un pacco di figurine Panini, quelle dei calciatori: “Queste”. Capii, fin da piccolo, che il matrimonio era una cosa complicata. Non sapevo, per esempio, che la patria potestà non fosse uguale per entrambi i coniugi, non capivo nulla della comunione dei beni e neppure dei figli nati fuori dal matrimonio (si chiamavano illeggittimi e quindi non contemplati dalla legge). La Legge 151/75 approvata il 15 maggio 1975 riformava il nuovo diritto di famiglia: sanciva la parità giuridica fra i coniugi ed attribuiva ad entrambi la patrià potestà sui figli, eliminava l’istituto della dote e riconosceva giuridicamente i figli nati fuori dal matrimonio. Da quel momento era possibile, prima di sposarsi, scegliere se i propri beni dovessero essere in regime di comunione o di separazione. Una legge di civiltà, scritta sotto i consigli costituzionali. Mi rimane sempre una domanda: ma Margherita, ai miei tempi, non mi ha sposato perchè non le piaceva il calcio o perchè aspettava questa riforma?
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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