Il 15 settembre del 1994 moriva a Lione Moana Pozzi, il nome italiano più popolare tra le star di quel ghetto che, soprattutto allora, era il cinema porno.
Ricordare la morte di un’attrice nota per le sue performance sessuali sul set potrebbe sembrare un ripiego, una di quelle scelte cui si è costretti quando non si hanno altri argomenti.
Invece no. Perché la vita, la personalità, la vera identità e la stessa morte di Moana restano un mistero, così come restano indefinite le sue relazioni con molti potenti italiani che riuscì ad ingraziarsi nella sua breve esistenza. Moana fu, a pieno titolo, un personaggio della Prima Repubblica. E con essa morì.
Ma Moana Pozzi fu anche un profilo psicologico enigmatico, ricco di contraddizioni, una maestra della finzione estrema. Moana dal ghetto del porno era uscita e, vincendo i pudori dell’Italia bigotta, era diventata un volto popolare della televisione, impresa di rilievo per una pornostar di cui normalmente restano più impresse altre parti anatomiche. Riuscì nell’incredibile impresa di girare un film hardcore intitolato significativamente “Valentina, ragazza in calore” e, nello stesso tempo, di condurre un programma per bambini su Raidue. Quando venne scoperta, ovviamente la Rai la cacciò. Aveva solo 21 anni, era figlia di un ricercatore nucleare e di una casalinga, aveva vissuto tra la provincia di Alessandria, il Brasile e la Francia, al seguito della famiglia. Poi aveva deciso di andarsene di casa e di guadagnarsi da vivere come poteva. Era bella e spregiudicata, doti che non potevano che portarla dritta dritta nel mondo dello spettacolo. Ebbe una piccola parte in un film con Renzo Arbore, mostrò le terga nella scena di una commedia di Carlo Verdone, sfiorò l’ingresso nel cast di Drive In, battuta sul filo di lana da Tinì Cansino, destò persino l’attenzione di Federico Fellini. Infine entrò nella scuderia di Riccardo Schicchi e iniziò ad apparire assieme a Ilona Staller nelle pellicole cult del porno, mercato rinvigorito dalla diffusione dei vhs. Con Cicciolina, nel 1992, Moana riuscì anche ad inventarsi il Partito dell’Amore e a partecipare a varie tornate elettorali, mentre infuriava il ciclone di Tangentopoli e i partiti venivano spazzati via. E in quello stesso periodo diede alle stampe la sua autobiografia, leggendo la quale forse si ottiene una spiegazione più convincente della sua fama: un elenco dei suoi rapporti intimi con personalità di primissimo piano del mondo dello spettacolo, della finanza e naturalmente della politica, ciascuno di questi giudicato per la sua potenza virile con regolamentare voto da 1 a 10. Solo che Moana Pozzi non si nascondeva dietro l’ipocrisia, preferendo mostrarsi per quel che realmente era. La morte sopraggiunse improvvisa, quando aveva 33 anni. La causa ufficiale del decesso fu un tumore al fegato, ma le circostanze della sua fine restano ancora dubbie. Dubbi confermati da Paolo Villaggio che, in un’intervista del 2009 a Piero Chiambretti, rivelò che la stessa Moana gli aveva confidato di avere contratto l’Aids. Nella stessa intervista, Villaggio sostenne che Moana Pozzi odiava l’amore fisico, essendo del tutto incapace di provare piacere durante un amplesso. Condizione che cozzava con l’idea di sesso gioioso di cui si era sempre fatta portatrice e che, fosse vera questa sua inabilità, le toglierebbe anche la fama di donna del peccato che tutti le abbiamo sempre attribuito.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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