Ripropongo, in occasione del trentennale della morte, la vicenda di un eroe africano morto non solo per il suo paese e per l’Africa, come scrissi allora, ma per il mondo intero.
15 ottobre del 1987. Viene ucciso Thomas Sankara e il sogno di una nuova Africa.
Con Thomas Sankara, il “Che Guevara africano”, non muore solo un uomo che aveva lottato per la libertà e l’emancipazione del popolo del suo paese, il Burkina Faso, ma muore, se non per sempre, per tanto tempo, il sogno di una Africa realmente libera. L’Alto Volta, come si chiamava una volta il Burkina Faso, è stata una colonia francese fino agli anni ’60. Negli anni ’80, emerse, tra politici corrotti e servili nei confronti degli interessi delle potenze straniere, la figura di questo capopopolo rivoluzionario. Nel 1983 fu arrestato con un chiaro mandato della Francia, l’ex paese coloniale che manteneva forti interessi nell’area. Fu liberato a furor di popolo, diventando primo ministro. Perché tutto questo astio da parte delle potenze estere, soprattutto Francia e USA? Leggendo questo discorso, forse si riesce a comprendere qualcosa. “Il problema del debito va analizzato prima di tutto partendo dalle sue origini. Quelli che ci hanno prestato il denaro sono gli stessi che ci hanno colonizzati, sono gli stessi che hanno per tanto tempo gestito i nostri stati e le nostre economie; essi hanno indebitato l’Africa presso i donatori di fondi. Noi siamo estranei alla creazione di questo debito, dunque non dobbiamo pagarlo” e ancora “Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché, se noi non paghiamo, i prestatori di capitali non moriranno, possiamo esserne certi; invece, se paghiamo, saremo noi a morire, possiamo esserne altrettanto certi. Quelli che ci hanno portato all’indebitamento hanno giocato, come al casinò: finché ci guadagnavano, andava tutto bene; adesso che hanno perduto al gioco, esigono che li rimborsiamo. Diciamo: hanno giocato; hanno perso; è la regola del gioco; e la vita continua”. Oggi sappiamo che il debito non è altro che una forma di legame che consente la prosecuzione delle politiche coloniali attraverso degli obblighi economici. Attraverso il debito contratto obbligatoriamente, infatti, per progetti di sviluppo che dopo tanti anni, hanno sviluppato solo la disperazione della gente che fugge in mare per sopravvivere, si mantengono i paesi post-coloniali dipendenti economicamente, e le imprese delle potenze straniere fanno affari d’oro. Oggi appare piuttosto chiaro, ma all’epoca una visione del genere scardinava una intera politica di “sviluppo” che nascondeva lucrosi affari a cui non si poteva certo rinunciare. La riduzione della dipendenza economica del Burkina Faso dagli aiuti esteri e la nazionalizzazione delle risorse si accompagnò alla lotta alla corruzione della classe politica, succube delle potenze straniere. Sankara usava, spesso, presentarsi in bicicletta agli incontri politici, e al posto delle costose Mercedes aveva comprato delle utilitarie Renault per le auto di rappresentanza. Fece tagliare gli stipendi ai politici. Amava dire che “non si poteva essere una classe dirigente ricca di un paese povero”. Fece una dura lotta alla mortalità infantile con vaccinazioni e nuovi ospedali, oltre all’adozione di misure igieniche e, più in generale, favorendo la contraccezione per il dilagare dell’Aids. Con le riforme agricole, la terra tornò a produrre i prodotti di sussistenza, cercando di combattere la schiavitù delle monoculture e del mercato estero. Naturalmente, come tutti i rivoluzionari dell’epoca, Sankara era un “comunista”, e questo bastò per trovare il pretesto per farlo fuori, armando la mano del suo ex amico Campaorè, tenuto poi al potere del paese per oltre 30 anni. Un assassino al potere del paese ma, naturalmente, amico degli europei e degli americani. Qualche giorno prima Charles Taylor, un ex ministro liberiano indagato per corruzione, inviato dagli USA per il solito colpo di stato, era stato cacciato via da Sankara quando questi gli aveva chiesto il supporto per l’operazione. Un affronto ad un amico degli americani che poi trovò aiuto in Ciad insieme alla diplomazia francese. Oggi questi fatti vengono messi in collegamento, ed appare sempre più chiaro il coinvolgimento di Francia e Usa nel colpo di stato e nell’uccisione di Sankara. Poi Taylor, naturalmente, dopo il colpo di stato in Liberia, si era trasformato in un sanguinario dittatore, poi messo sotto inchiesta per crimini contro l’umanità. Ma pur sempre amico era. Pochi mesi prima di essere massacrato insieme a dodici dei suoi più stretti collaboratori, Sankara tenne un discorso alla Giornata Internazionale della Donna a Ouagadougou, capitale del paese. “La condizione della donna”, disse Sankara davanti ad una folla di donne, “è quindi il nodo di tutta la questione umana, qui, là, ovunque. Ha un carattere universale.” Sankara diffuse l’educazione sessuale e lottò contro l’infibulazione, abolì, tra le critiche, la prostituzione, e tentò di dare alle donne una parte del salario dei propri mariti. La sua scorta era fatta da donne. Tutto questo e molto altro ancora è stato Thomas Sankara, morto a 37 anni per coltivare la speranza di una Africa libera e di un mondo migliore. Quando l’Africa, oggi, risputa gente disperata in cerca di una nuova vita, pensiamo al mezzo secolo di progetti di sviluppo che hanno continuato a spolpare senza pietà quel continente. Pensiamo a quel 15 ottobre del 1987. Perché il dubbio che mi viene, è che quei colpi di stato che facevano fuori i nemici dell’Occidente, non erano compiuti solo per interesse economico e strategico. Quei colpi di stato servivano anche per impedire la nascita di nuovi esempi, per impedire che l’Africa rialzasse la testa e trovasse la sua strada.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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