Ci sono sempre i pugni chiusi e le lacrime a raccontare un pezzo di storia di questo paese. E piazze colme di gente a soppesare la rabbia. Capivamo di essere tanti e, probabilmente, di essere forti. Il problema, come ricorda Claudio Lolli, era come farlo capire ai morti. Le icone della rabbia di quegli anni ci sono tutte: il Natale che arrivava, la paura ed il terrore, i compagni che sbagliano, ormai per fortuna nemici giurati. Un treno, quello di “trionfi la giustizia proletaria” e nel Pantheon della memoria dei ricordi per i quali “pagherete caro, pagherete, tutto” e “siamo stanchi di ritrovarci solamente a dei funerali”, c’erano Piazza Fontana, Piazza della Loggia, l’Italicus, la stazione di Bologna. Potevamo festeggiare meglio quel Natale del 1984. Ed invece. La domenica del 23 dicembre 1984 il treno pieno di viaggiatori che ritornavano a casa o verso i parenti per festeggiare il Natale, quel treno, all’interno del tunnel della grande Galleria dell’Appennino saltò. Lo scoppio, provocò un violento spostamento d’aria che frantumò i finestrini e le porte. Quell’esplosione causò 16 morti e 267 feriti. Terrorismo, si disse. Fascisti. Probabilmente. Ma questo è uno strano paese. Nel marzo del 1985 vennero arrestati Guido Cercola e Giuseppe Calò, noto mafioso palermitano conosciuto come Pippo Calò. La storia comincia a diventare torbida perché Cercola aveva rapporti con un tedesco e furono scoperti strani collegamenti tra la camorra napoletana, la loggia p2 (il solito e inossidabile Licio Gelli) la banda della Magliana e, chiaramente, la mafia. Sono passaggi complessi. Su questa storia non ci sono molti libri e poche sono le indagini giornalistiche. In primo grado la corte di Assise di Firenze condannò alla pena dell’ergastolo Pippo Calò, con l’accusa di strage. Il 15 marzo 1990 la Corte d’Assise d’appello di Firenze confermò l’ergastolo per Calò e Cercola. Il tedesco fu assolto dal reato di banda armata, ma fu confermata la sua condanna per strage. Ci voleva il giudice Carnevale, in Cassazione, ad annullare tutto ma, per fortuna, nel 1992 ci fu una nuova condanna che divenne definitiva. Racconto questa storia che avrebbe necessità di maggiore spazio perché quel giorno, il 15 marzo del 1990, all’Asinara, appresi della condanna definitiva in foresteria vecchia, dove il detenuto egiziano, condannato per qualche grammo di eroina, ascoltando la notizia dal televisore mi disse: “questi sono veri delinquenti”. Ed io, con i pugni in tasca ben stretti, e con le lacrime nascoste non dissi niente.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design