La vera storia di Calatafimi? Ve la dico io. Un equivoco. Allora ero un ragazzino. E servivo nella masseria dei Patruno quando la padrona mi mandò a portare l’acqua e il pane e il companatico al padrone che aveva preso lo schioppo e si era unito a quei continentali che venivano dalla parte di Marsala. Si sparavano addosso con quegli altri continentali che venivano dalla parte di Messina e pensavo che erano le solite questioni di mafiusi, anche se questi non si nascondevano dietro i muretti e stavano faccia a faccia. Cercavo il padrone in mezzo alla confusione, quando vidi uno a cavallo vestito strano e la barba che chiamava -Nino, Nino! Maledizione, dove sei? Poi ho saputo che quello era Garibaldo che chiamava a Nino Bissio epperò a sentire “Nino, Nino” c’era lì vicino Nino Anagarruni, il fattore del mio padrone, che io lo conoscevo bene. Uno tranquillo, che il padrone se l’aveva portato appresso a tenergli lo schioppo che pesava e a fargli il letto la notte. E lui, Nino, che non voleva guai, se ne stava lontano quando c’era movimento. Comunque sentì chiamare Nino da quello che dava ordini a tutti e gli andò vicino. -Comandi! Quello, Garibaldo, tra la polvere negli occhi e la cosa che guardava verso i continentali di Messina che venivano avanti sparando, manco lo guardò in faccia e gli disse a voce alta cercando di farsi sentire da tutti. -Nino, qui o si fa l’Italia o si muore. Nino, che credeva alla malasorte, si mise la mano sulla patta fingendo di acconciarsi le braghe. E poi, siccome era filosofo e pure se non sapeva né leggere né scrivere era quello che ragionava meglio in masseria, senza chiedersi perché Garibaldo cercava proprio a lui, pensò subito a salvarsi la pelle. Ma ve lo faccio raccontare da lui, come andò. Già, proprio come ha detto il ragazzo. Come è vero che mi chiamo Nino Anagarruni quello mi chiama, proprio a me, che chissà come mi conosce, e mi dice -Nino, qui o si fa l’Italia o si muore. Io penso: e cosa vuole da me questo rompicoglioni, mi tocco e poi cerco di farlo ragionare. -Eccellenza, non la vedrei così radicale. Troviamo una via di mezzo. Intorno si sollevano le nuvolette di terra delle palle dei borboni e i proiettili dei cannoni cadono sempre più vicini. -E quale sarebbe questa via di mezzo? – chiede lui. -Che non facciamo l’Italia e non moriamo. -Nel senso? -Nel senso che se moriamo non potremo fare l’Italia neppure fra un po’, quando magari ci verrà meglio. Se moriamo adesso che vantaggio ne traiamo? -La riconoscenza dei posteri. -Ehhh, voi spagnoli la fate facile… -Non sono spagnolo! -Argentino, boliviano… è lo stesso. Sa, i posteri poi tengono la minchia nel nido caldo e a tirare l’asino mandano a noi che intanto abbiamo tirato le cuoia. -Tengono cosa? -Niente,eccellenza. E’ un modo di dire. Il fatto è che se moriamo l’Italia non la potremo più fare. -Perdinci, questo è vero. Intorno a noi si raduna un capannello di volontari che si ingrossa sempre di più, tanto che dalla parte di questo Garibaldo il fuoco diventa sempre più rado e i borboni mandano un portaordini con un biglietto. Garibaldo lo apre e me lo legge: “Insomma, che cosa succede? Non mi sembra educato interrompere così. Con gli inglesi che ci hanno versato metà della somma pattuita (l’altra metà dopo la ritirata) eravamo d’accordo che a questo punto voi facevate il contrattacco e noi arretravamo in confuso disordine”. In quel mentre arriva cavalcando come un pazzo uno in giubba rossa. -Generale, generale, a questo punto noi dobbiamo contrattaccare, non ricorda? -Bixio? Sei tu? E allora questo chi è? E io -Nino Anagarruni, per servirvi, sono il fattore dell’eccellenza… Ma Garibaldo, pallido, mormora a quell’altro -Pensando che fossi tu gli ho letto un biglietto dove si parla di quella questione con gli inglesi… -Poco male- dice l’altro. Poi impugna la spada e mi tira un primo colpo che per fortuna mi prende di piatto. Io scappo prima che quello aggiusti la mira e lui mi insegue urlando -Fermati, maledetto, che questa storia poi la racconterai soltanto a Belzebù. E io corro verso il boschetto mentre Garibaldo urla -Prendilo, Nino, prendilo! E poi, ripensandoci -Dico a Nino Bixio, sia chiaro. Capito? E io così mi vidi arrivare nel boschetto Anagarruni con il fiatone e tutto sudato che mi disse -Fuggiamo, fuggiamo, che sennò questi ci ammazzano. -E il padrone? -Fottiamocene. E così mettemmo in salvo la pelle e quando ebbimo saputo che Garibaldi aveva vinto la battaglia anche se i borboni erano tre volte di più non stemmo a fare i cagadubbi perché dalle nostre parti ciascuno si fa i fatti suoi.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
Ma in piazza d’Italia dove sorge il sole? (di Cosimo Filigheddu)
Quattro luglio 1972, condannate le gambe accavallate (di Francesco Giorgioni)
Temo le balle più dei cannoni (di Cosimo Filigheddu)
La musica che gira intorno all’Ucraina. (di Giampaolo Cassitta)
22 aprile 1945: nasce Demetrio Stratos: la voce dell’anima. (di Giampaolo Cassitta)
Ha vinto la musica (di Giampaolo Cassitta)
Sanremo non esiste (di Francesco Giorgioni)
Elisa o il duo Mamhood &Blanco? (di Giampaolo Cassitta)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Morto per un infarto Gianni Olandi, storico corrispondente da Alghero della Nuova Sardegna (di Gibi Puggioni)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 17.738 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design