Dimanche 06 Septembre 2015;Longchamp;PRIX DU PIN - G3;S.A. AGA KHAN;SCOOPDYGA -
Questa agenda mi è costata un gran mal di testa ma mi ha anche beneficiato di un sacco di buone letture, nonché di una trama da soap opera persino appassionante.
La notizia è che il 15 luglio del 1957 il ventenne Karim al Husayni si presenta al mondo come nuovo Aga Khan, cioè capo spirituale dei musulmani ismailiti. Sì, quel signore che noi galluresi chiamiamo con deferenza Il principe e che l’anno dopo, nel 1958, venne a sapere da un amico banchiere dell’esistenza di una certa isola chiamata Sardegna. Anche se forse già la conosceva, perché nelle sue vene scorreva il sangue italiano della nonna paterna.
Stiamo comunque ai fatti. Karim si presenta con una conferenza stampa convocata nella villa Baraqat sul lago Lemano di Ginevra, città svizzera dove è nato nel 1936. Presenziano all’evento decine di giornalisti in rappresentanza di testate di ogni mondo. Ci sono anche diversi inviati italiani, tra cui il giovane Silvano Villani del Corriere della Sera, principale fonte di queste umili righe. Anche se ancora Karim non è conosciuto in Italia come fondatore della Costa Smeralda, la sua dinastia è ovunque nota per ricchezza e mondanità, essendo stati suo padre e suo nonno grandi viveur, amanti delle belle donne quanto dei cavalli da corsa.
Ecco, il nonno: lì volevo arrivare, perché da lì tutto parte. In quella stessa villa di Ginevra dove il nuovo Aga Khan tiene una prudente conferenza stampa leggendo dei bigliettini con frasi preparate, quattro giorni prima si era spento l’ottantenne Aga Khan III, lasciando aperto il rebus della successione. Se la sarebbero giocata i due figli Alì e Sadruddin, avuti da mogli diverse, senonché il vecchio decise diversamente e nel suo testamento nominò il giovanissimo nipote come suo erede al trono spirituale, chiamiamolo così. Scrisse, nel biglietto, che quel ragazzo gli sembrava il più adatto per affrontare le sfide della nuova era atomica. Un buon artificiere, insomma. In realtà non aveva molta fiducia nei figli scapestrati.
E così in quel torrido lunedì 15 luglio del 1957 l’aitante ragazzone si presenta ai giornalisti, affiancato dalla sorellastra di sette anni Yasmin, figlia del padre di Karim ma di altra madre, nientemeno che la star hollywoodiana Rita Hayworth. Questa moltiplicazione di moglie e figli, con le conseguenti diramazioni familiari, spiega il perché della mia emicrania: le conoscevo già, ma ogni volta ricostruire le trame mi costa una certa fatica. I giornali lo rappresentano come giovane studente di Harvard, molto bravo nel giocare a hockey e provetto sciatore, ne tratteggiano i trascorsi in un collegio privato svizzero, il cui rettore ne esalta le doti di rettitudine e assennatezza. Però aggiunge che essendo un uomo molto attraente sarà distratto dalle donne, rivelandosi in questo il rettore buon per quanto facile profeta,
La designazione di Karim è, come ho scritto, una sorpresa, perché sostanzialmente rompe la successione e salta una generazione di comando degli ismailiti nazariti. Per un paio di giorni, Ali e Sadruddin stazionano nella villa Baqarat in attesa dei notati che devono certificare le volontà dell’estinto. Con loro ci sono anche le fidanzate; quella di Alì si chiama Bettina, è una nota modella e qualche anno dopo ce la ritroveremo a Liscia di Vacca, in una villa che ancora oggi porta il suo nome.
Come sappiamo, il vecchio non ha fiducia nei figli e sceglie il nipote. Ma nelle ore seguenti la sua morte Radio Damasco – la Siria è una delle nazioni a maggiore presenza di Ismailiti – casca in un infortunio clamoroso, annunciando al mondo che il successore sarebbe stato Alì: anche allora la frenesia dello scoop giocava brutti scherzi.
Nonno Aga Khan era nato in Pakistan nel 1877, quando ancora il Pakistan apparteneva all’India. Tra le sue quattro mogli ve ne fu una italiana. Si chiamava Teresa Magliano, era una modesta ballerina che il testosteronico Imam conobbe in un night di Montecarlo. La sposò dopo aver ripudiato la prima moglie, una sua cugina. Dal matrimonio con la ballerina torinese nacque Alì, padre dell’Aga Khan. E adesso sono abbastanza sicuro che il mal di testa lo abbiate anche voi.
In quei giorni, il grande cronista del Corriere Orio Vergani scrive un magnifico coccodrillo in cui ricorda le frequentazioni italiane dell’Aga Khan III: il punto esatto della calle veneziana in cui saliva sulla gondola, issato in barca dalla sedia a rotelle sulla quale era costretto, per dirigersi verso il bar di Cipriani e prendere l’aperitivo, alla moda di Hemingway. Vergani (il pezzo è nella terza pagina del 12 luglio 1957 e merita la lettura) documenta anche quanto nostro connazionale vada considerato il primogenito Alì, nato a Torino e che parla un ottimo italiano con cadenza piemontese appresa dalla madre. Questo forse spiega, qualche giorno dopo, la leggera delusione dei cronisti di casa nostra, speranzosi nella scelta di Alì in virtù delle sue radici materne. Non sanno ancora che il figlio Karim avrà un legame con l’Italia molto più saldo di quel che ebbe il padre Alì, morto nel 1960 in un incidente stradale a Parigi mentre, assieme a Bettina, lasciava una festa.
Poi succede la Costa Smeralda e tutto questo lo sappiamo,
Mi rendo conto che noi galluresi usiamo toni melensi e stucchevolmente enfatici per parlare dell’Aga Khan e ci poniamo di fronte a lui come ingenui seguaci di fronte ad una divinità.
Vero, lo riconosco. In fondo la Costa Smeralda fu per lui uno dei tanti investimenti con cui spendeva i soldi delle generose donazioni dei suoi sudditi sparsi in tutto il mondo, quando ancora lo facevano salire sulla bilancia e gli corrispondevano in oro l’equivalente del suo peso.
In fondo questi signori, col fatto che i loro follower li credano discendenti di Maometto, hanno sempre fatto una vita fantasticamente sfarzosa e sono stati privilegiati in tutto, cambiando mogli e luoghi di residenza come noi ci cambiano le mutande.
Però, vedete, l’Aga Khan è stato per noi quel che Gigi Riva è stato per l’altro capo dell’Isola: se lo scudetto del Cagliari segnò l’ingresso della Sardegna in Italia, come scrisse Gianni Brera, l’arrivo dell’Aga Khan segnò per noi abitanti dello sconosciuto comune di Arzachena l’ingresso nel mondo.
Potevano non essergli riconoscenti, i poveri abitanti di Monti di Mola che fino allora venivano considerati dei selvaggi lontani dalla civiltà?
Chi, prima di questo ragazzotto sorridente, aveva creduto nella bellezza di quelle coste dove non esistevano strade, mancava la corrente elettrica e persino l’acqua corrente?
Posso biasimare mio padre, camionista di Luogosanto immigrato ad Arzachena, se ancora oggi mena vanto di aver sostituito una gomma bucata al maggiolino Volkswagen motorizzato Porsche, quella volta che incontrò il principe fermo sul ciglio della strada con l’auto zoppa? Stava dando una mano ad un signore che incontrava a testa alta la regina d’Inghilterra: sarà stato anche un sentimento servile, ma forse era anche una manifestazione di sincera gratitudine. Perché se quell’uomo non fosse sbarcato in Sardegna, mio padre sarebbe stato ancora nello stazzo di Luogosanto. Posto bellissimo ma dove, a sentir lui, non sempre il raccolto bastava per riempirsi la pancia.
Posso biasimare i miei ex colleghi di lavoro di Porto Cervo quando raccontavano commossi delle lacrime di Zahra quando, a settembre, partiva dalla Sardegna dopo avervi trascorso l’estate?
E posso biasimarli, quei colleghi, allorché decisero di promuovere una campagna elettorale a favore di Karim, quando La Nuova Sardegna indisse il concorso per eleggere il gallurese dell’anno? Inutile che vi dica chi lo vinse, quel premio. Ma forse e bene che vi dica che, quando questo concorso venne lanciato, l’Aga Khan da un pezzo non era più proprietario della Costa Smeralda.
Posso biasimare quelli che ringraziarono il principe per quella mensilità premio pagata ai dipendenti del Consorzio, il giorno in cui a Porto Cervo venne festeggiato il primo compleanno della primogenita Zhara?
Se un atto di generosità simile lo decidono i Ferrero ad Alba, tutte le testate ne parlano e i sociologi si muovono per spiegarci come quella sia un’azienda modello. Invece, quando lo fece l’Aga Khan, passò per una forma di velata corruzione di quelle anime candide, già prese in giro per aver svenduto a due lire i loro terreni.
E, infine, posso biasimare il marinaio che mi portò a spasso sulla feluca, ad Assuan, in Egitto, quando, veleggiando di fronte al mausoleo dove riposa il nonno di Karim, chinò la testa in segno di rispetto e pronunciò per lui parole di sentita devozione?
Mi rendo conto di essere andato lungo, troppo lungo. E so che molti commenteranno sostenendo che la Costa Smeralda sia stata nulla più che una speculazione di tipo coloniale da cui è nata una generazione di camerieri e domestiche.
Però qualche mese fa ho intervistato Marco Gaggioli, classe 1970, alunno della scuola alberghiera di Arzachena voluta dall’Aga Khan e diventato alcuni anni fa direttore dell’hotel Cervo. In fondo questa storia, così intricata e piena di sviluppi in ogni parte del mondo, passa anche da Marco. E forse bisognava aspettare qualche generazione per tirare le somme sulla favola sarda dell’Aga Khan.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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