Me lo ricordo quel giorno di cristallo e luce, passeggiando per piazza Navona io e alcuni miei colleghi nella capitale per organizzare un corso di formazione. Quelle passeggiate dentro un sole che non riscaldava ma riempiva il cuore, tra la fontana del Bernini e il caffè da Eustachio. Me la ricordo quella notizia strana che arrivò come una detonazione nei telegiornali (a quei tempi non c’erano i cellulari che ci avvisavano delle news): gli americani attaccavano l’Iraq. Era il 15 gennaio 1991 e cominciava l’operazione di chiamava “Desert storm” e sarà ricordata come Guerra del Golfo. Cominciammo a discuterne trotterellando dentro una Roma come sempre caciarona e disposta a tutto. Avevamo visibilmente paura. Non ce lo dicevamo, avevamo utilizzato passaggi ancestrali, periodi lessicali complessi ma la realtà è che anche l’Italia appoggiava quella guerra. A dispetto della Costituzione, a dispetto dei proclami, al netto di tutto quel giorno, a Roma, vivemmo uno scenario di disperazione. Non eravamo abituati ad imbracciare le armi, eravamo – per fortuna – la prima generazione che aveva vissuto, fino a quel giorno almeno, in una bolla bellissima di pace. Certo, sconquassi in giro per il mondo erano sempre presenti, la fabbrica di produzione delle armi in Italia era fluente, però quella guerra segnava qualcosa di indefinito. La sera, dopo il telegiornale ci recammo a piedi a Piazza Venezia. Molte auto, molte persone che rincorrevano le luci dei negozi di via del Corso. Ricordo soltanto che per sdrammatizzare qualcuno dei miei colleghi, osservando il famoso balcone disse: “meno male che lui non c’è”. Fu una risata liberatoria ma falsa. Quel giorno, a Roma, qualcosa si ruppe. Vedere le immagini di guerra in televisione fu come partecipare a qualcosa di orrido, freddo, inutile e cattivo. Quei punti verdi, quei bersagli, quegli errori, quelle esplosioni, quelle morti inutili sul tavolo di false ragioni. Storie terribili. Storie bastarde, come tutte le guerre.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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