Quel 14 ottobre 1980 io c’ero. Nel senso che ricordo perfettamente il senso di smarrimento di quei giorni e di quelle lotte. Le ragioni degli operai e quelle degli impiegati. A quei tempi il PCI stava con gli operai ed Enrico Berlinguer, il 26 settembre si era recato davanti ai cancelli della Mirafiori, a Torino, a parlare e a garantire l’appoggio del partito ad una lotta considerata sacrosanta. Tutto nasceva da una crisi molto forte dell’automobile e da una visione piuttosto autoritaria di Cesare Romiti, fresco amministratore delegato dell’azienda. Uno che con i sindacati ringhiava e non mollava. Un duro con la faccia da padrone. Molto più di Agnelli.
Il 5 settembre del 1980 Romiti annuncia diciotto mesi di cassa integrazione per 24.000 dipendenti e quasi 15.00 licenziamenti. Il consiglio di fabbrica in risposta proclama immediatamente lo sciopero, tutti i cancelli di Mirafiori vengono bloccati con i picchetti degli operai. A tutti è impedito l’ingresso. Anche agli impiegati. Soprattutto agli impiegati C’è uno strano e nuovo rumore nell’aria. Cade il governo Cossiga e alla fine del mese la FIAT sospende i licenziamenti. Ma non basta, rimane la cassa integrazione a zero ore per oltre 24.000 operai. Lo sciopero continua. La lotta è dura, aspra, molto incisiva. Poi, accade qualcosa. Che non era mai avvenuto. Il 14 ottobre viene convocata un’assemblea dal “coordinamento dei capi e quadri FIAT” i famosi colletti bianchi e si decide di formare un corteo per le strade di Torino. Un corteo silenzioso, senza slogan. Quel corteo che si snoda nelle vie cittadine il 14 ottobre del 1980, ribattezzato dei “quarantamila”, (anche se sul numero ci saranno, come sempre divergenze) diventerà un pezzo di storia, costringerà i sindacati a ridiscutere le strategie ed accettare qualche compromesso. Sono passati 35 anni da quel corteo. Non ci sono più Lama, Berlinguer, Agnelli, Pertini e non c’è più quel sindacato, quegli operai e quei quadri. Tutto sembra sparito in questi anni di plastica, di “aggiustamenti” politici, di equilibrismi tattici e di politica avulsa dalla passione.
Quel 14 ottobre svelò che c’era anche un’altra Italia, formata non solo da operai e che occorreva sentire le ragioni di tutti. Svelò anche che era finita una fase di inutile contrapposizione tra gli operai e i “padroni”. Però, poi, a pensarci bene, quel rumore della fabbrica svelava una certa vitalità che oggi è sovrastata dal silenzio rumoroso di chi neppure ricorda cosa accadeva in quegli anni nella Torino di Cesare Romiti.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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