Il giorno in cui Giovanni Tolu fu arrestato, il 22 settembre 1880, si trovava a casa della figlia Maria Antonia dove si rifocillava e nel contempo seguiva i lavori nei campi. Fu catturato dopo 29 anni e 9 mesi di latitanza. Condotto in carcere a Sassari, quella notte se la ricorda perché per la prima volta dopo svariati anni, si spogliò per infilarsi in un letto. Per quanto scomoda quella branda in cella, non aveva la frugalità di quei giacigli improvvisati che gli regalavano poche ore di riposo diurno affinché la notte potesse vegliare nelle campagne della Nurra. A raccontare la sua vita, la sua lunga latitanza, la cattura e la morte da uomo assolto da ogni colpa, Enrico Costa. Nel 1895 Giovanni Tolu si presenta al giornalista e vuole raccontare la sua storia. Stufo com’era di leggere cose inesatte sul suo conto. Giovanni Tolu non era un illetterato, durante la sua fuga per le campagne era solito leggere, uno dei suoi libri favoriti era I Reali Francesi, non solo leggerli ma anche narrarli durante gli incontri d’amore con alcune donne, mogli di pastori che lo ospitavano. Proprio così, forse per timore (per tenersi buono un uomo comunque armato) ma anche per la generosità che il Tolu dimostrava ai più poveri, negli stazzi veniva accolto come un amico o un familiare. L’amore e le donne. Fin da ragazzo, non vedeva di buon occhio quell’amore che annebbia la mente. Guardingo con alcune compaesane che desideravano sistemarsi con lui, giovane e gran lavoratore. A soli diciassette anni si ritrovò a mantenere la famiglia dopo la morte prematura del padre. Diventato un giovane uomo, a venticinque anni, sceglie in sposa, ricambiato nel suo amore, una giovanissima “aveva fermato l’attenzione sopra una bella giovinetta quindicenne” Maria Francesca Meloni, al servizio del prete don Pittui. Le sventure iniziano da quell’amore osteggiato in tutti i modi dal religioso, ostacola il matrimonio, alimentando alcune dicerie che volevano il cuore di Giovanni impegnato con altre ragazze di Florinas. Poi, una volta che i due si sposano, l’ingerente presenza del parroco porterà “le prime nubi” tra i due coniugi fino alla violenta rottura. Rottura anche con la famiglia di lei. Perché tanta contrarietà da parte del prete? In molti a Florinas ipotizzavano che don Pittui avesse interessi molto poco spirituali verso la giovane e questa tesi fu portata avanti fino a quando Tolu non spiegò la sua teoria. La separazione avviene proprio quando Maria Francesca è in attesa dell’adorata figlia Maria Antonia. È il prelato il motivo di tutti i guai, anche di quei dolori probabilmente di origine reumatica che ogni tanto portavano a immobilità il bandito di Florinas. Legature, questo erano. Sortilegi, malefici, fatture scagliate da un prete ricco e potente che girava armato e si circondava di sicari fedeli e 15 cani pronti ad azzannare.
Nel Natale del 1850 si offre a Giovanni l’occasione della resa dei conti, il prete cammina solo per il paese, prende la mira ma il fucile si inceppa per ben tre volte e a quel punto Tolu decide di affrontarlo a “mani nude”. Gli si avventa e stringe il collo più che può, vuole vederlo crepare. Alcune persone richiamate dai rumori e forse dalle urla, escono per vedere cosa accade e a Giovanni Tolu non resta che iniziare la sua lunga fuga lasciando don Pittui agonizzante. Il paese è diviso tra chi parteggia per il prevosto che pian piano si rimetterà e chi per il latitante. Tra i primi, i suoceri di Tolu e i fratelli Rassu, pronti a far arrestare o a far fuori il fuggiasco alla prima occasione. Un conflitto a fuoco tra Pietro Rassu e le guardie, peggiora la situazione del latitante. Morirono il brigadiere Maronero e un altro carabiniere. Salvatore Meloni, suocero di Giovanni Tolu, testimoniò di aver sentito, prima del conflitto, la voce del genero. Divenne la versione ufficiale e Giovanni Tolu fu accusato dell’omicidio di uno dei due carabinieri.
Soprattutto dei familiari poteva fidarsi, frequentava le case della madre e della sorella Chiara. Qui rimane dieci giorni per farsi curare con “incenso sbattuto nel bianco d’uovo, bagni d’acquavite, e polvere di carbone impastata con sevo” per guarire le piaghe causate da quella vita in fuga. La caccia del resto, escludeva le abitazioni dei familiari “Non si pensò neppure a visitare l’abitazione di Chiara, né quella di mia madre, poiché non era possibile ch’io fossi stato così gonzo da cacciarmi in bocca al lupo” Invece in questa latitanza di quasi trent’anni, Tolu potrà aggirarsi per la Nurra, tra i 270 ovili che animano la zona. Talmente conosceva bene sentieri e campagne che i barracelli gli chiederanno di aiutare gli allevatori contro i ladri di bestiame. Sempre per la sua padronanza dei luoghi verrà consultato (così racconta) dagli ingegneri inglesi che dovevano realizzare la ferrovia che conduce a San Michele. Quale tra San Martino, la vallata di Nostra Signora di Saccargia o il Piano di Coloru è migliore? “Per San Martino avreste molte aperture da praticare e molti rialzi da formare. Per la Valle della Trinità dovreste costruire una galleria molto lunga. Io, dunque, sceglierei il Piano di Coloru, poiché il terreno è meno accidentato e più comodo per la linea. Seppi più tardi che fu scelta la linea da me suggerita” Conosceva le campagne e la vegetazione tanto che, aiutato da alcune letture di nozioni popolari di medicina, sapeva come guarire la febbre con quelle erbe medicinali che conosceva e sapeva dove trovare. Veniva chiamato nelle case per prestare soccorso agli ammalati.
A 57 anni verrà arrestato e condotto nel carcere di Sassari ma a causa della forte ammirazione di cui gode tra il popolo, si pensa sia meglio tradurlo a Oristano dove passerà tutto sommato un bel periodo godendo della simpatia del direttore del carcere che addirittura lo tratterà come un parente facendolo socializzare coi suoi figli. Neanche Oristano va bene, anche lì si è creato un ambiente troppo amichevole, da lì si sposterà a Cagliari “Se si continuerà la linea retta, mi manderanno a Tunisi!” Invece i trasferimenti si concluderanno a Frosinone dove verrà sottoposto a giudizio dalla Corte d’Assise.
Il processo inizia il 19 ottobre del 1882, si concluderà il 21, tre giorni dopo con l’esito di assoluzione per legittima difesa. Il rientro nella sua terra fu caratterizzato da accoglienze calorose e da donazioni per poter costruire la dote: 40 vitelle e un centinaio di pecore. La stampa nazionale non apprezzò tanta magnanimità nei confronti del “brigante” “L’usanza di soccorrere un assolto, od un reduce da un luogo di pena, è molto antica in Sardegna. […] Questa generosità verso uno scarcerato risolve il problema, tante volte messo in campo, e mai tradotto in atto: mettere un condannato in condizione di non dover ricorrere a un nuovo furto per sostentare la propria famiglia. Oh, quante consuetudini umanitarie fra queste genti barbare che vivono lontane e dimenticate dai popoli civili!”
Tornò a vivere dalla figlia nella località di Lèccari dove deciderà di fare il nonno e smettere di lavorare. Quei mesi di carcere lo hanno stremato ben più della lunga latitanza. Decise poi di contattare il giornalista Enrico Costa per raccontare tutta la sua verità. E in questa verità c’era anche la sua teoria del perché don Pittui fosse così accanito nel volerlo separare dalla moglie. L’attenzione che il prete mostrava alla giovane aveva il sapore di un amore paterno. A riprova di questo sospetto, la testimonianza di un’anziana e un introvabile certificato di nascita di Maria Francesca. Dunque era questo il sospetto di Tolu. Un anno dopo, prima di vedere le stampe della sua storia, Giovanni Tolu morì. Era il 4 luglio del 1896. I quotidiani “del continente” raccontavano la morte del brigante e Costa allora volle puntualizzare, nell’epilogo del suo libro, perché Giovanni Tolu non poteva essere definito un brigante:
” […] per convincersene, basta riandare le gesta dei famosi capi squadriglia, che, in tempi civili (1860-1896) infestarono le due Sicilie, la Romagna ed altre regioni d’Italia: gesta che hanno destato il terrore per la ferocia dei misfatti, per il sangue freddo con cui vennero preparati, e per il cinismo degli assassini dopo averli commessi. Dal complesso dei fatti fin qui narrati, il lettore avrà rilevato quanto diverse siano le cause che hanno spinto alla delinquenza i disgraziati banditi.
[…] Il brigante si dà alla macchia per formare una banda di malfattori; il bandito rifugge dai compagni per meglio meditare nella solitudine; il primo non pensa che al furto e all’assassinio, il secondo non sogna che la vendetta”
Sparo pixel alla rinfusa, del resto sono nata sotto un palindromo (17-1-71), non potevo che essere tutto e il contrario di tutto. Su una cosa però non mi contraddico «Quando mangio, bevo acqua. Quando bevo, bevo vino» (cit. un alpino)
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