Ma il 14 luglio la presa della Bastiglia è stato l’avvenimento più importante? Certamente quello più ricordato, un po’ come per noi il 16 marzo del 1978, giorno in cui le Brigate Rosse rapirono Aldo Moro e massacrarono la sua scorta. Però il 14 luglio del 1948, in Italia, qualcosa di grave, di molto grave accade. Erano le 11.30 di un’estate romana. Dolce e calda. Si viveva in un clima da primo dopoguerra, la Costituzione era giovanissima e ancora tutta da interpretare e il 18 aprile di quello stesso anno la democrazia cristiana aveva battuto il fronte delle sinistre: il partito socialista e quello comunista.
Alle 11.30 del 14 luglio 1948 Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano usciva da Montecitorio insieme ad una giovanissima deputata: la ventiseienne Nilde Iotti. Era una giornata solare, limpida, tipicamente romana. Antonio Pallante era uno studente di giurisprudenza, profondamente anticomunista e simpatizzante del “qualunquismo” che imperava in quegli anni e odiava, profondamente, Palmiro Togliatti. Il migliore. Pallante aveva in tasca una vecchia pistola calibro 38. Si avvicinò al deputato e sparò tre colpi che colpirono il segretario del PCI alla nuca e alla schiena. La terza pallottola gli sfiorò il cranio. Pallante sparò per uccidere. Ma non ci riuscì. Palmiro Togliatti fu ricoverato d’urgenza e operato. Pallante arrestato e condannato a 13 anni e 8 mesi che divennero prima dieci ed infine amnistiati per metà. La notizia dell’attentato a Togliatti divenne, come si direbbe oggi, virale in tutta la penisola e si rischiò, davvero, la guerra civile. Gli operai della Fiat di Torino sequestrarono l’amministratore delegato Vittorio Valletta. La linea ferroviaria si bloccò e il ministro dell’Interno, Mario Scelba vietò, attraverso una circolare diramata ai prefetti, tutte le manifestazioni in piazza. Poi ci fu la parola a mettere le cose in ordine. La parola di chi sapeva essere leader: “State calmi, non fate pazzie” dichiarò, dal suo letto d’ospedale, Palmiro Togliatti. Il migliore. Fu quella breve frase a stemperare tutto. Perché i politici, quando vogliono, sanno essere punti di riferimento per tutti. La leggenda racconta poi che fu grazie alla vittoria di Ginetto Bartali al Tour de France a mettere la discussione su “tarallucci e vino”. Sono leggende che fanno bene all’epica ma che poco c’entrano con la politica, quella vera. Quella che sapeva parlare al cuore della gente anche in tempi terribilmente bui.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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